Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato e benessere organizzativo

BUONE PRATICHE DI INTERVENTO SULLO STRESS LAVORO-CORRELATO (1)

Orientamenti per gli Psicologi in merito alle valutazioni e agli interventi previsti dal Dlgs. 81/2008

A cura del gruppo di lavoro composto dal Prof. Guido Sarchielli, dal Prof. Marco Depolo, dal Dott. Federico Ricci,

nominato dal Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Regione Emilia-Romagna, con Delibera del 12 dicembre 2008.


1. PREMESSA

Per quanto la normativa italiana (2) fornisse da tempo specifiche previsioni e disposizioni in materia, il rischio stress lavoro-correlato, risulta ora esplicitato formalmente nell’art.28 del Dlgs. 81/2008, che riprende la definizione delle Parti Sociali a livello europeo approvata in sede di Accordo Interconfederale. Tale risultato risulta allineato con gli orientamenti espressi da tempo dalla Commissione UE “Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006”, (marzo 2002) e con le indicazioni tecnico-operative dell’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro di Bilbao. La caratterizzazione multifattoriale del fenomeno dello stress lavoro-correlato e la necessità di diagnosticarlo, analizzarlo nonché di intervenire per ridurlo o eliminarlo con misure appropriate richiedono l’assunzione di un’ottica multidisciplinare e la fattiva collaborazione di un’ampia gamma di categorie professionali implicabili per la specificità del loro contributo professionale. Il presente documento di orientamento per le “buone pratiche” intende essere un utile strumento:

a) per la creazione di un consenso diffuso sulla necessità di attuare gli interventi previsti nel rispetto delle competenze professionali necessarie ad affrontare problematiche di natura psicologica e psicosociale e secondo i principi della qualità, sostenibilità, etica professionale e corrispondenza ai bisogni degli interventi stessi;

b) per lo sviluppo di un dialogo e chiarificazione che consentano allo psicologo di stabilire una comunicazione efficace con tutti gli interlocutori che, per legittime funzioni, hanno responsabilità sui processi di valutazione dello stress lavoro-correlato e sugli interventi correttivi e preventivi che debbono essere attuati. Ciò vale sia a livello aziendale sia a livello sociale più ampio. Pare importante infatti richiamare l’attenzione sulla specificità dei temi connessi allo stress e sulle loro relazioni con il miglioramento della qualità della vita lavorativa, mettendo in evidenza il contributo che può essere fornito solo da una corretta utilizzazione delle conoscenze e delle competenze psicologiche negli ambiti lavorativi;

c) per fornire un quadro di riferimento di massima per i professionisti operanti nel settore della salute e sicurezza lavorativa circa la logica e le metodologie più appropriate che - allo stato attuale delle conoscenze in materia di stress lavoro-correlato - possono essere implementate nei contesti di lavoro per soddisfare quanto previsto dalla normativa e avviare buone pratiche sulle quali costruire progressivamente linee operative sempre più condivise.

 


 

2. FUNZIONI DELLO PSICOLOGO PER LA SALUTE LAVORATIVA

Per delineare le funzioni dello psicologo è importante fare riferimento anche all’Accordo Interconfederale siglato il 9 giugno 2008 per recepire l’Accordo quadro europeo sullo stress lavoro-correlato, che era stato definito l’8 ottobre 2004. In particolare gli artt. 4 e 6 indicano le attività da svolgere, che richiamano diverse aree nelle quali lo psicologo ha competenze specifiche.

2.1 Attività dello psicologo

Lo psicologo ha competenze professionali adeguate e utili in diverse fasi delle attività previste dal Dlgs. 81/2008. Più precisamente, interviene utilmente ne:

1) la individuazione e valutazione dei rischi.

2) le attività di prevenzione (ad esempio: formazione del personale; comunicazioni inerenti la salute e i rischi lavorativi; consulenza alla gestione del sistema organizzativo).

3) l’azione di sorveglianza (ad esempio: consulenza sul ruolo che esercitano la percezione del rischio, l’informazione e la formazione per la sicurezza, nonché il sistema dei controlli e delle sanzioni sui comportamenti di sicurezza e tutela della salute).

4) la determinazione dell’idoneità lavorativa per quanto riguarda la consulenza su fattori di natura psicologica.

Va ricordato che la competenza dello psicologo può rappresentare un “valore aggiunto” anche nello svolgimento delle fasi successive alla valutazione in senso stretto. Ciò attraverso:

1) l’elaborazione dei dati con tecniche più o meno sofisticate, ma focalizzate principalmente sulla diagnosi organizzativa e sull’identificazione di associazioni tra stressors e loro effetti;

2) l’interpretazione accurata dei dati e restituzione secondo modalità di comunicazione efficace;

3) i suggerimenti per interventi migliorativi (correttivi e preventivi) integrabili con il funzionamento quotidiano dell’organizzazione;

4) la progettazione e realizzazione interventi informativi e formativi sui rischi specifici di stress lavoro-correlato, basati su tecniche efficaci di attivazione dell’apprendimento dei lavoratori.

2.2 Riserva di legge (l. 56/1989 “Ordinamento della professione di psicologo”) Nessuna delle attività citate è rivendicabile in senso stretto come un atto riservato allo psicologo professionista, in base alle leggi vigenti, ad eccezione delle diagnosi psicologiche che si effettuassero per definire l’idoneità lavorativa. Sarà cura dell’Ordine, delle Associazioni scientifico-professionali e del singolo professionista segnalare che lo psicologo è qualificato per contribuire in tutte le fasi del processo previsto dal Dlgs. 81/2008, ma che è specialmente qualificato per:

1) effettuare diagnosi e interventi che richiedono la previsione di come i membri dell’organizzazione si potranno comportare in futuro in condizioni determinate (ad es. in presenza di stressori potenziali);

2) valutare la risposta media alla presenza di stressori potenziali collegati al posto di lavoro;

3) valutare la percezione del rischio da parte di lavoratori con caratteristiche, qualifiche, responsabilità diverse

2.3 Requisiti professionali

Lo svolgimento delle funzioni sopra descritte richiede necessariamente allo psicologo il possesso dell’abilitazione professionale nella sezione A. In aggiunta, appare indispensabile precisare che soltanto una adeguata qualificazione nel campo della psicologia del lavoro e delle organizzazioni può costituire il requisito formativo necessario (3).

 


 

3. LIVELLI DI ANALISI DELLA CONDIZIONE DI STRESS

3.1 Definizione di massima. Secondo la definizione dell’Accordo quadro europeo, che è parte integrante del Dlgs. 81/2008, “lo stress è una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla percezione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative”. In tal senso, si comprende come lo stress sia l’espressione di un processo di interazione tra il lavoratore e il suo contesto di lavoro nel quale numerosi fattori (stressors) possono concorrere a determinare conseguenze indesiderate per gli individui e per la stessa organizzazione. Si propone quindi, coerentemente, di sostenere una procedura di diagnosi, valutazione e intervento che tenga conto di tali elementi in interazione tra loro.

3.2 Stress e strain. Valutare il rischio stress lavoro-correlato significa considerare come un pericolo presente nel contesto di lavoro (ovvero una condizione descrivibile in cui l’individuo può subire l’eventualità di un danno) possa effettivamente procurare danni da stress di una certa entità e con una certa frequenza (R=F*M). Quando questa condizione rischiosa, dovuta a differenti fattori lavorativi, si manifesta per un periodo prolungato di tempo e con una intensità elevata, tende a produrre conseguenze significative per l’individuo. Definiamo questi possibili effetti come strain o esiti da stress lavoro-correlato che possono presentarsi in forma acuta o cronica. Tali esiti non sono una malattia in senso stretto, ma possono a loro volta, ridurre l’efficienza, influenzare lo stato di salute psicofisica ed essere causa di infortuni e malattie professionali. Il campo di applicazione del Dlgs. 81/2008 riguarda direttamente l’identificazione, valutazione e intervento correttivo e preventivo sul rischio stress lavoro-correlato soprattutto a livello organizzativo, mentre i danni o sindromi patologiche e i relativi trattamenti a livello individuale rientrano invece nelle pratiche di sorveglianza sanitaria e nei conseguenti atti riabilitativi reputati necessari.

3.3 Stress extralavorativi. Esistono anche differenti condizioni di stress che hanno effetti sulle persone, ma che originano al di fuori del lavoro (fattori di stress o stressors extralavorativi). Queste condizioni stressanti non rientrano direttamente nella definizione di stress lavoro-correlato, così come definite dal Dlgs. 81/2008.

3.4 Utilità di livelli di analisi. L’obiettivo di individuare, prevenire, gestire, ridurre, i rischi da stress lavoro-correlato (nell’interesse dei datori di lavoro e dei lavoratori ed evitando di attribuire la responsabilità dello stress all’individuo singolo) può essere raggiunto più facilmente prestando attenzione alle caratteristiche concrete della relazione tra il lavoratore e il suo lavoro in un dato contesto. Pertanto, per comodità descrittiva, si mettono in evidenza i differenti livelli nei quali si articola l‘analisi.(4)

3.4.1 Livello individuo – posto di lavoro

Esempi di fattori legati al compito: Richieste dei compiti o di ruolo in termini di conoscenze, esperienze, atteggiamenti, comportamenti; percezione di controllo sui compiti lavorativi primari; carico di lavoro fisico e mentale; ritmi di lavoro; attivazione psicologica; livello di attenzione richiesto; livelli di autoefficacia; autostima richiesti; gratificazione personale e affettiva ottenuta; livello di isolamento; struttura temporale della giornata di lavoro e dell'attività lavorativa (ad esempio turni, lavoro notturno); ambiguità e contraddittorietà delle mansioni, del ruolo o in generale delle richieste; risorse insufficienti in relazione all'impegno o alle responsabilità necessari per portare a termine il lavoro.

Esempi di fattori legati al contesto fisico-ambientale: luogo fisico di lavoro (effetti diretti e indiretti di rumore, microclima, sostanze pericolose, …); adeguatezza tecnologica ed ergonomica degli impianti, delle postazioni e degli strumenti.

Esempi di fattori legati alla relazione di lavoro: condizioni contrattuali (stabilità/precarietà); corrispondenza tra aspettative ruolo e aspettative personali; tipo di rapporti con interlocutori esterni; livello di responsabilità personale; livello di innovazione; tipo e frequenza di cambiamenti tecnici; presenza di condizioni di incertezza; senso di responsabilità per i risultati della posizione organizzativa; identificazione nel ruolo.

3.4.2 Livello individuo – gruppo

Esempi di fattori legati a rapporti interpersonali: clima di gruppo; supporto sociale; rispetto delle diversità; identificazione nel gruppo; coinvolgimento affettivo; stile di comunicazione; credibilità del leader; prevaricazioni e molestie; partecipazione alle decisioni; rinforzo dell’autostima; apertura al cambiamento; stabilità del gruppo; modalità di gestione dell’incertezza; presenza di precari.

Esempi di fattori legati al funzionamento del gruppo di lavoro (squadra, ufficio): efficacia di gruppo; efficienza del gruppo; qualità dei risultati.

Esempi di fattori legati a rapporti con superiori e subordinati: stile manageriale e di leadership; grado di disponibilità reciproca; di riconoscimento reciproco; di apprezzamento reciproco; senso di reciproca responsabilità; occasioni di confronto; efficacia decisionale, presenza di intimidazioni, prevaricazioni e molestie.

3.4.3 Livello individuo – organizzazione

Esempi di fattori legati al contesto organizzativo: tipo/qualità della struttura organizzativa; stabilità organizzativa; sistemi di gestione degli orari di lavoro; sistemi di comunicazione interna; sistema delle retribuzioni; sistema premiante; sistema di delega; cultura, valori di riferimento e clima organizzativo; clima psicosociale relativo a salute e sicurezza.

Esempi di fattori legati a procedure e politiche organizzative: regolamenti e procedure; politiche di investimento nella formazione, informazione, addestramento; politiche del personale in merito a assunzioni e lavoro precario; al ricambio di personale; a percorsi di qualificazione e mobilità interna; allo sviluppo di carriera e opportunità di ottenere promozioni; equità percepita; grado di identificazione negli obiettivi organizzativi; senso di appartenenza e attaccamento; etica e reputazione aziendale; rispetto delle risorse comuni; rappresentanza nelle decisioni collettive; politiche di pari opportunità.

 


 

4. OGGETTO DI ANALISI: FATTORI ANTECEDENTI, INTERVENIENTI ED ESITI

4.1 Prevenzione e protezione. Tutti i datori di lavoro hanno l’obbligo giuridico (direttiva-quadro 391/1989) di tutelare la salute e sicurezza dei lavoratori, anche in presenza di rischi stress lavoro correlato, sia come fattore di rischio a sé stante sia per la correlazione rilevata con il verificarsi di infortuni e malattie professionali. In questo senso il datore di lavoro adotta specifiche misure per identificare i fattori di rischio stress lavoro-correlato (antecedenti) e valutarne la priorità così da ridurre la frequenza e l’entità del danno da stress lavoro-correlato (prevenzione e protezione). Tutti i lavoratori sono, di conseguenza, coinvolti attivamente, e responsabili a diverso titolo, dell’applicazione delle politiche individuate dal datore di lavoro. La politica di prevenzione e protezione del rischio stress lavoro-correlato prevede:

  • Interventi di valutazione degli antecedenti organizzativi e delle variabili personali implicate, allo scopo di mettere in relazione le fonti del rischio stress lavoro-correlato con gli effetti dannosi per i singoli lavoratori e per l’intera organizzazione (impatto individuale e collettivo);
  • Interventi di miglioramento delle condizioni organizzative e delle risorse individuali, sia per ridurre la frequenza (ovvero prevenzione attraverso miglioramenti organizzativi e consapevolezza individuale del rischio) sia per ridurre i danni da stress lavoro-correlato (ovvero protezione ad esempio attraverso training o azioni di sostegno organizzativo specifiche e miglioramento delle capacità di fronteggiamento / coping personale).

4.2 Oggetto di analisi e di valutazione. Devono essere presi in considerazione gli antecedenti organizzativi (cause/fonti/stressors/indicatori di esposizione) del rischio stress lavoro-correlato, le variabili personali implicate, gli esiti/effetti/impatto dell’interazione tra antecedenti organizzativi e variabili personali. L’esigenza di una prospettiva interazionista che leghi antecedenti, variabili personali ed esiti è sostenuta dal fatto che individui diversi possono reagire differentemente a situazioni simili, così come accade che lo stesso individuo possa reagire diversamente a situazioni simili in momenti diversi della propria vita. Queste considerazioni rendono evidente la necessità di un contributo qualificato del professionista psicologo in questo campo di diagnosi e valutazione, pur in una prospettiva di intervento autenticamente multidisciplinare.

Tenuto conto di quanto affermato al paragrafo precedente si può presentare la seguente lista sintetica di categorie di stressors, variabili personali ed esiti che, pur non essendo esaustiva, può contribuire:

a) ad orientare il processo di diagnosi e valutazione;

b) a predisporre gli adattamenti al contesto di lavoro in base alle sue concrete caratteristiche (cfr. punto 5.2);

c) a selezionare gli strumenti appropriati per la diagnosi e valutazione:

4.2.1 Antecedenti (cause/fonti/stressors)

  • Natura e caratteristiche del compito/ruolo

  • Natura del rapporto di lavoro/condizioni di impiego

  • Cambiamenti tecnici, organizzativi e sociali

  • Controllo e autonomia decisionale

  • Struttura, progettazione organizzativa e procedure

  • Aspettative di ruolo poste sul lavoratore

  • Procedure di inserimento professionale

  • Relazioni con il superiore diretto e i colleghi e supporto sociale

  • Riconoscimento dei successi professionali

  • Interferenza con interessi extra lavorativi

  • Qualità delle relazioni interne (gruppi e organizzazione)

  • Cultura, valori organizzativi e istituzionali

  • Clima organizzativo verso salute e sicurezza

4.2.2 Variabili personali che intervengono tra antecedenti ed esiti

  • Cultura di appartenenza

  • Livello delle conoscenze

  • Livello di esperienza

  • Attitudini

  • Atteggiamenti e stili comportamentali

  • Valori

  • Aspettative professionali

  • Rappresentazione del lavoro

  • Commitment organizzativo

  • Contratto psicologico

  • Rischio percepito

  • Resilienza e coping (fronteggiamento)

4.2.3 Esiti/effetti/impatto

  • Sull’organizzazione: ad esempio, assenteismo, turn-over, incidenti e infortuni, inefficienze, basso rendimento, sfiducia; conflittualità.

  • Sulla persona (strain): insoddisfazione lavorativa; demotivazione e disinvestimento affettivo, sintomi di malessere psicologico; sintomi di malessere psico-fisico.

 


 

5. LA VALUTAZIONE DEI RISCHI COME PROCESSO TECNICO E ORGANIZZATIVO

5.1 Approccio consensuale per fasi. La valutazione dei rischi lavorativi di tipo psicosociale non costituisce il risultato della semplice applicazione di strumenti di carattere oggettivo e percettivo per la misura dei fattori di stress e dei suoi potenziali esiti. Sulla scorta degli orientamenti europei e internazionali, essa rappresenta invece un processo sistematico che assolve a funzioni di carattere tecnico, ma anche di coinvolgimento dei vari attori sociali nell’obiettivo più ampio di valutazione, gestione e correzione dei rischi (5). Il cosiddetto “ciclo di controllo”, applicabile anche ai rischi di natura psicosociale, include sia la valutazione dei fattori di rischio in senso stretto sia elementi di gestione. Esso si articola in una serie di fasi che prevedono il preventivo coinvolgimento e consenso di tutti gli stakeholders (dirigenza, lavoratori e loro rappresentanti, medico competente e tecnici della prevenzione, esperti con competenze necessarie sul tema dello stress e non presenti in azienda) sin dall’inizio e lungo l’intero processo (processo ciclico di gestione del rischio psicosociale). Tali fasi (6) esplicitano un processo logico di diagnosi ed intervento che prevede:

“Fase 1. Individuare i pericoli e le persone a rischio. Individuare quali fattori sul luogo di lavoro sono potenzialmente in grado di arrecare danno e identificare i lavoratori che possono essere esposti a tali pericoli.

Fase 2. Valutare e attribuire un ordine di priorità ai rischi. Valutare i rischi esistenti (secondo la gravità, il grado di probabilità e di severità di eventuali danni, ecc.) e classificarli in ordine di importanza.

Fase 3. Decidere le azioni preventive. Identificare le misure adeguate per eliminare o controllare i rischi.

Fase 4. Intervenire con azioni concrete. Mettere in atto misure di protezione e di prevenzione attraverso un piano di definizione delle priorità.

Fase 5. Controllo e riesame. La valutazione dei rischi dovrebbe essere periodicamente rivista per essere mantenuta aggiornata”.

5.2 Adattamenti al contesto lavorativo. E’ importante sottolineare che l’approccio europeo al quale si fa riferimento (promosso in particolare dall’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro) (7) fornisce indicazioni di ordine metodologico generale che possono essere tradotte con modalità operative differenti in funzione di un’accurata considerazione delle caratteristiche dei processi e dei contesti lavorativi, come ad esempio:

  • la natura e le dimensioni del luogo di lavoro (ad esempio, una sede fissa o una transitoria; un’azienda di piccole/medie o grandi dimensioni);

  • i tipi di processi lavorativi implicati (ad esempio, operazioni ripetitive, processi che si evolvono o che cambiano, lavoro altamente variabile in funzione delle richieste);

  • l'attività svolta e le condizioni di esecuzione (ad esempio, attività individuali o in gruppo, attività ripetitive, incarichi occasionali o a elevato rischio, struttura temporale dell’attività, ritmi);

  • la complessità tecnica dei processi o degli strumenti usati (che implicano ad esempio, gradi elevati di richieste cognitive, psicomotorie, emotive, comportamentali).

In sostanza, gli adattamenti metodologici necessari a rendere fattibile e sostenibile un adeguato processo di valutazione di rischi si giustificano in rapporto alla specifica natura dei contesti e dei processi lavorativi in atto. Ciò che appare indispensabile è assicurare che la valutazione e la gestione dei rischi non rappresentino il semplice adempimento di un “obbligo di legge”, ma siano inserite in un processo di miglioramento delle condizioni di lavoro, frutto del consenso tra le parti circa la necessità:

  • di coinvolgere tutti gli attori organizzativi nella progettazione dell’intervento e nel suo svolgimento;

  • di pianificare in modo accurato e trasparente le fasi del processo, compresa la fase di scelta degli strumenti di misura più appropriati al contesto organizzativo in esame;

  • di indicare soluzioni concrete basate sull’evidenza scientifica e specifiche per il contesto organizzativo, con priorità data ad interventi collettivi e organizzativi per affrontare i rischi psicosociali alla fonte.

La suddetta prospettiva appare di diretto interesse anche per gli psicologi professionisti che, a vario titolo, possono offrire consulenza alle organizzazioni per l’espletamento in generale degli obblighi inerenti la sicurezza lavorativa e, in particolare, di quelli relativi all’analisi e valutazione dei rischi di stress lavoro-correlato. Pertanto, il modo di organizzare l’azione professionale di consulenza richiede una coerenza con il processo sociale e organizzativo sopra-esplicitato, che porta a escludere interventi parziali, ad esempio esclusivamente basati sull’utilizzo di un singolo strumento di rilevazione e, comunque, non coordinati con le finalità e le fasi del processo di valutazione.

 


 

6. BUONE PRATICHE PROFESSIONALI

6.1. Rispetto dell’etica professionale

Lo psicologo che interviene nell’ambito del Dlgs. 81/2008 presta particolare attenzione alle implicazioni collegate all’art. 2.2 del Meta-codice di etica della Federazione Europea delle Associazioni di Psicologi (www.inpa-europsy.it/metacodiceetica.pdf ), che recita: “Gli psicologi devono assicurare e mantenere alti standard di competenze nel loro lavoro. Riconoscono i limiti delle competenze specifiche e i confini dei loro ambiti d’intervento. Forniranno solo quei servizi e useranno solo quelle tecniche per le quali sono qualificati tramite la formazione, il training e l’esperienza”. Analoghe indicazioni sono contenute nel codice deontologico approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nazionale in data 15-16 dicembre 2006 (www.psy.it/codice_deontologico.html).

6.2 Suggerimenti operativi per buone pratiche professionali

In particolare, oltre al rispetto degli obblighi di legge (ad esempio per quanto concerne la tutela dei dati personali) lo psicologo cura:

1) di essere a conoscenza dei modelli teorici, degli approcci e delle linee-guida validati dalla comunità scientifica internazionale (operativamente, lo psicologo deve essere in grado di indicare le evidenze empiriche che giustificano la scelta dei propri strumenti e metodi di lavoro);

2) che le misure delle dimensioni rilevanti per il Dlgs. 81/2008 siano sempre fondate sia su dati c.d. “oggettivi” (come, ad esempio, dati aziendali, dati di archivio su assenteismo, turn-over, ecc., osservazioni apposite o misure psicofisiologiche) che su dati c.d. “soggettivi” (come ad esempio dati percettivi raccolti mediante questionario);

3) che gli strumenti che utilizza:

3.1. distinguano convenientemente tra misure dello strain (effetti sulla persona) e misure del rischio;

3.2. distinguano tra dati sugli antecedenti dello stress lavoro-correlato, sui fattori di modulazione e sui possibili esiti;

3.3. abbiano adeguata validità di costrutto e predittiva;

4) di prevedere sempre il coinvolgimento dei lavoratori interessati nella diagnosi della situazione, direttamente (ad esempio, mediante intervista sul singolo posto di lavoro) o indirettamente (ad esempio, mediante focus group o testimoni privilegiati);

5) di adattare misure e strumenti al contesto produttivo e psicosociale in cui opera, per salvaguardare validità e attendibilità della sua diagnosi (cfr. punto 5.2);

6) di operare con modalità di intervento capaci di fornire una diagnosi valida e attendibile, ma con la minima interferenza possibile con il processo produttivo;

7) che il feedback dei risultati di sua competenza sia disponibile tanto alla direzione che ai lavoratori, nelle forme che avrà cura di concordare per iscritto prima dell’intervento: sarà opportuno precisare contenuti, modi, tempi e sequenzialità (in quale ordine ai diversi attori) della comunicazione.

 


 

7. MODELLO DI ORGANIZZAZIONE E DI GESTIONE DELLA SICUREZZA

7.1 Integrazione della sicurezza negli obiettivi organizzativi. Il Dlgs. 81/2008 considera l'organizzazione come fattore chiave per il miglioramento delle condizioni di sicurezza in azienda. La nozione di «modello di organizzazione e di gestione» in materia di salute e di sicurezza (art. 30) fornisce un esplicito quadro di riferimento per la progettazione, da parte del datore di lavoro, di una struttura organizzativa aziendale nella quale siano integrate anche le funzioni di gestione e controllo di quanto previsto per la tutela della salute. Viene quindi sostenuta l'opportunità che l'azienda, nell'intento di migliorare la sicurezza e di assolvere alle prescrizioni di legge, riveda i propri modelli organizzativi (ne migliori l’efficienza ed l'efficacia) integrando la sicurezza tra i propri obiettivi. Si tratta, per certi aspetti, di una innovazione organizzativa che, dando sistematicità e continuità temporale agli interventi progettati per la sicurezza e integrandoli con le altre funzioni organizzative, in realtà influisce sul normale funzionamento aziendale (qualità delle condizioni di lavoro) e facilita il conseguimento degli obiettivi organizzativi (produzione di beni e servizi). .

7.2 Servizio di Prevenzione e Protezione. Nel Dlgs. 81/2008 il Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP) è la struttura cardine del nuovo sistema di gestione della sicurezza (Artt. da 31 a 35). Esso risulta finalizzato a ridurre o eliminare i rischi di infortuni o di danni per la salute, a migliorare le condizioni di lavoro nell'azienda, a proteggere la salute dei lavoratori, promovendone il benessere fisico, psichico e sociale. Considerando tali aspetti innovativi della struttura organizzativa si può osservare come le competenze richieste alle varie figure che fanno parte del o cooperano con il SPP siano molteplici e di elevata complessità. Esse riguardano, ad esempio, competenze propriamente tecnico-scientifiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, competenze metodologiche e progettuali sia per quanto riguarda la valutazione ed il governo dei rischi, che la progettazione e la realizzazione di interventi di formazione ed informazione dei lavoratori ed, infine, competenze relazionali, quali tecniche di comunicazione, di gestione dei gruppi, di negoziazione, di problem solving, per una partecipazione attiva di tutte le componenti aziendali. Facendo riferimento alla natura e la complessità dei ruoli funzionali coinvolti (datore di lavoro, responsabile e addetti del SPP, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, dirigenti, preposti e gli stessi lavoratori) e alle conoscenze e competenze loro richieste, si individua un significativo spazio di collaborazione  professionale per gli psicologi (8) sia rispetto alla conoscenza e alla diagnosi dei rischi di natura psicosociale ed ergonomica correlati allo stress, sia in materia di informazione e formazione (con particolare riguardo alle metodologie e tecniche di comunicazione efficace, di gestione dei gruppi, di apprendimento degli adulti).

 


 

8. TIPI DI INTERVENTO IN CUI SONO COINVOLGIBILI GLI PSICOLOGI

8.1 Prevenzione primaria. Comporta azioni che tendono a ridurre l’incidenza degli antecedenti di rischio di stress lavoro-correlato. Come detto al punto 2, lo psicologo può contribuire ad una più appropriata individuazione dei rischi stress lavoro-correlati, alla loro valutazione e alla proposta di interventi mirati di prevenzione, correzione e protezione, che il datore di lavoro deve adottare, programmando i necessari passi per il miglioramento delle condizioni di lavoro in relazione ad ordini di priorità motivati. Dei risultati della valutazione e degli interventi programmati sono informati tutti i soggetti del sistema aziendale di prevenzione e protezione, inclusi RLS, dirigenti e preposti; conseguentemente tutti i lavoratori saranno formati e coinvolti attivamente negli interventi di miglioramento. Gli interventi adottati vengono periodicamente rivisti, in relazione all’obiettivo di una riduzione continua del rischio stress lavoro-correlato, per il mantenimento ed il miglioramento continuo del benessere organizzativo rivolto all’eccellenza, alla qualità della vita lavorativa e a un clima psicosociale di sicurezza (safety climate).

8.2 Prevenzione secondaria. Comporta azioni che tendono a ridurre la prevalenza di effetti di cui si osservano già sintomi. Considerando che il fine dell’intervento psicologico concerne la promozione globale della salute personale e organizzativa, egli può concorrere al raggiungimento di questo obiettivo contribuendo al programma di promozione e gestione della salute psicofisica deciso in un ambiente di lavoro, sotto la responsabilità del e in collaborazione con il medico competente. In questo senso contribuisce alle attività di prevenzione secondaria. Lo psicologo infatti può intervenire sia sul versante del lavoratore (promuovendo il senso di responsabilità, la motivazione, atteggiamentie stili comportamentali positivi per il mantenimento dello stato di salute) sia sul versante azienda (in riferimento ai miglioramenti dell’organizzazione del lavoro e alla gestione delle risorse umane) ponendo un’attenzione particolare al clima psicosociale aziendale.

8.3 Prevenzione terziaria. Comporta azioni di cura e riabilitazione di effetti dannosi sulla salute. Tali azioni sono soggette alla competenza sanitaria. La competenza dello psicologo deve comunque essere chiamata in causa quando, in connessione con gli atti di sorveglianza sanitaria, sono ritenuti necessari interventi psicologici negli ambiti previsti dalla L.56/1989

 


 

9. IMPLICAZIONI E SUGGERIMENTI OPERATIVI

9.1 Ambito di applicazione. E’ internazionalmente accettato che il rischio stress lavoro-correlato può essere presente in qualsiasi organizzazione ed interessare tutti i lavoratori, a prescindere dalle dimensioni aziendali, dal comparto economico, dalla tipologia del rapporto di lavoro. Allo stesso modo è chiaro che non tutti i contesti organizzativi e non tutti i lavoratori sono necessariamente colpiti allo stesso modo dallo stress lavoro-correlato.

9.2 Specificità. E’ documentato l’effetto di modulazione tra stressori potenziali ed effetti sull’individuo di alcuni fattori. Alcuni di questi fanno riferimento a caratteristiche dei contesti organizzativi, altri a caratteristiche psicosociali delle persone interessate. Tali fattori devono essere considerati per garantire la sostenibilità e fattibilità operative. Lungo questo continuum da organizzazione a individuo si possono ricordare ad esempio queste specificità:

  • Dimensione dell’organizzazione. Comprende il grado di differenziazione organizzativa dell’azienda/ente o delle sue unità.

  • Sistema di relazioni sindacali. Comprende l’attenzione ai diversi livelli delle relazioni sindacali (contrattazione nazionale, decentrata, concertazione in sede di organismi paritetici territoriali).

  • Comparto economico. Comprende l’attenzione alle tecnologie e alle procedure organizzative eventualmente tipiche del comparto.

  • Sistema gestionale. Comprende l’attenzione alla presenza di strumenti preventivi come: percorsi di certificazione etica; azioni concrete per la Responsabilità Sociale dell’Impresa/ente; piano della sicurezza previsto dall’art.30 Dlgs. 81/2008; programmi di formazione continua; percorsi definiti di carriera; iniziative di comunicazione interna.

  • Tipologia del rapporto di lavoro. Comprende l’attenzione al grado di elevata precarietà e flessibilità occupazionale (ad esempio, mancanza di tutele, percezione di insicurezza, rischi correlati alla continuità lavorativa e all’identità professionale) .

  • Caratteristiche e distribuzione delle professionalità. Comprende l’attenzione alle famiglie occupazionali e ai livelli di professionalità presenti.

  • Caratteristiche differenziali relative ai lavoratori. Comprende l’attenzione a caratteristiche differenziali come età, genere, provenienza da altri paesi, specifiche fasi di transizione (ad esempio, ingresso o uscita dalla vita lavorativa).

9.3 Tipi di strumenti e misure

Con riferimento a quanto espresso al punto 6 del presente documento, vale la pena rimarcare che le misure delle dimensioni rilevanti per il Dlgs. 81/2008 e i relativi strumenti rappresentano dei supporti al processo ciclico di gestione del rischio psicosociale.

In tal senso occorre sottolineare, da un lato, l’esigenza di utilizzare strumenti che possiedano adeguate proprietà psicometriche, dall’altro lato, evitare la rincorsa alla ricerca dello “strumento perfetto”, usabile in tutte le occasioni, poiché tale tipo di strumento di fatto non esiste (va ricordato, per altro, che la maggior parte degli strumenti quantitativi sono nati più per motivi di ricerca che di un intervento organizzativo attuato secondo la prospettiva del Dlgs. 81/2008 ). Nella fase di identificazione (o pre-diagnosi) è opportuna una ragionata selezione da una lista di stressors potenziali (presenti nella letteratura scientifica internazionale e nazionale, nelle Linee guida e nei documenti europei) di quelli che possono costituire gli stressors tipici del contesto in esame. Tale operazione può richiedere l’uso di check-list: a) basate su fatti e relative ad aspetti caratterizzanti il lavoro e le condizioni di esecuzione (ad esempio, presenza/assenza di lavoro a turni); b) di natura valutativa e relative ad aspetti del lavoro e condizioni organizzative (ad esempio, la percezione del lavoratore di essere troppo sotto pressione); c) riferite a dati di archivio (ad esempio, uso dei database sul tipo di assenze). Nella fase di valutazione si devono considerare sia le priorità messe in evidenza in precedenza sia le caratteristiche del contesto ove si effettua la valutazione, al fine di scegliere nel modo più appropriato gli strumenti di misura che coinvolgano direttamente i lavoratori nel processo valutativo. Un ulteriore fattore situazionale (che riguarda anche la sostenibilità dell’intervento valutativo) di cui tenere conto nella scelta degli strumenti concerne in particolare le dimensioni aziendali. Ad esempio, nelle aziende di piccole dimensioni sono consigliabili strumenti di natura qualitativa, mentre nelle aziende di medie e grandi dimensioni sono utilizzabili surveys accanto a check-lists di natura osservativa e comportamentale. Nelle attività di survey va ricordato che tra i questionari disponibili (poco numerosi in lingua italiana) si possono distinguere questionari a largo spettro e questionari specifici. Per quanto riguarda poi la struttura, esistono questionari di diverso grado di standardizzazioneAppare necessario utilizzare soprattutto questionari dotati di validazione scientificamente affidabile (commercializzati da case editrici del settore o pubblicati in riviste scientificamente rilevanti), salvaguardando la possibilità di utilizzare con responsabilità e consapevolezza dei limiti strumenti ad hoc quando opportuni. Test psicometrici veri e propri possono essere utilizzati soprattutto per rilevare possibili esiti di esposizione allo stress lavoro-correlato.

9.4 Esemplificazioni di tipi di strumenti

Nell’attesa delle indicazioni procedurali che saranno emesse dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (art. 6 del d.l. 81/2008, come modificato dal d.l.106/2009), va ribadito che - come dimostrato nelle pagine precedenti - non esiste uno strumento che possa essere considerato il riferimento principe per la rilevazione dei dati percettivi per mezzo dei quali i lavoratori descrivono la propria situazione. Anzi, uno dei terreni in cui meglio si esprime la professionalità dello psicologo è la scelta della strumentazione più adatta a ogni specifica situazione. Per questo motivo è necessario che il settore professionale dello stress lavoro-correlato venga affrontato da psicologi con una adeguata formazione specifica, in grado di valutare costi e benefici degli strumenti disponibili e delle metodiche originali di indagine che sarà necessario creare o adattare alle singole situazioni. Ciò in particolare se si pone mente al fatto che sul mercato esistono strumenti con finalità e approcci molto diversificati. Si va da strumenti che si riferiscono al costrutto di clima o di salute organizzativi, ad altri che misurano classicamente il livello di stress, ad altri ancora che rappresentano auto-descrizioni delle caratteristiche della situazione di lavoro. E’ evidente che tali strumenti, anche quando rispettano gli usuali standard scientifici di validità e di attendibilità, offrono contributi diversi alla diagnosi dello stress lavoro-correlato, né sarebbe possibile pensarli come utili in ogni situazione o intercambiabili. Si possono tuttavia segnalare alcuni strumenti-tipo che possono fare da riferimento per chi volesse approfondire la propria competenza in questo settore. Le descrizioni seguenti vanno intese a titolo esemplificativo e senza intento di esaustività per quanto riguarda gli strumenti disponibili sul mercato, né di valutazione dei singoli strumenti.

Un esempio di strumento di diagnosi è l’OSI (Occupational Stress Indicator), destinato prevalentemente a manager e quadri (cfr. http://www.giuntios.it/ricerca.do?destPg=home.cat.alfab). E’ composto da 167 item, con somministrazione individuale o collettiva. Oltre a un questionario biografico consta di sei sezioni (soddisfazione lavorativa, salute psicologica e fisica, comportamenti orientati allo stress, interpretazione degli eventi quotidiani, fonti di pressione nel lavoro, modi di coping). Tra i più noti questionari finalizzati alla quantificazione della percezione di singoli aspetti della condizione lavorativa da parte del lavoratore c’è il JCO (Job Content Questionnaire) elaborato a partire dal modello teorico di Robert Karasek. Misura principalmente le dimensioni della Job Demand (impegno lavorativo richiesto) e della Decision Latitude (controllo sulla situazione). Ne esistono diverse versioni: quella classica (49 item in tre macro-aree: controllo; domanda ; aspetti relazionali) è stata tradotta e validata in Italia (cfr. http://www.ispesl.it/informazione/karasek.htm). Uno strumento recente è il Questionario Multidimensionale sulla Salute Organizzativa (MOHQ) (cfr. http://www.oisorg.it/strumenti/mohq/index.html), che ha obiettivo la misura di nove dimensioni considerate rilevanti per la salute organizzativa, sempre mediante dati autoriferiti dai singoli lavoratori. Si tratta di: dati anagrafici; comfort dell’ambiente di lavoro; dieci dimensioni della salute organizzativa; sicurezza ; caratteristiche del lavoro; indicatori positivi e negativi della situazione; disturbi psicosomatici; apertura all'innovazione; possibili suggerimenti. Una più recente misura del livello di stress sperimentato è data dall’ERI (Effort Reward Imbalance) (cfr. http://www.uni-duesseldorf.de/MedicalSociology/Effort-reward_imbalance_at_wor.112.0.html). Il modello teorico alla base è quello di Johannes Siegrist, secondo cui lo strain è il risultato di uno squilibrio tra sforzo/impegno – da un lato – e ricompense/risultati ottenuti – dall’altro. Anche in questo caso si tratta di una misura di self report basata (nella versione più diffusa) su 23 item organizzati in tre dimensioni: sforzo; risultato; iper-coinvolgimento.

Per tutti gli strumenti citati, i siti web di riferimento indicati contengono utili e aggiornati approfondimenti sulle caratteristiche costitutive dei modelli teorici di riferimento, sulle forme di validazione e sulla letteratura scientifica pubblicata che li ha utilizzati.


 

Note

  1. Il gruppo di lavoro composto dal Prof. Guido Sarchielli, dal Prof. Marco Depolo, dal Dott. Federico Ricci, nominato dal Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Regione Emilia-Romagna, con Delibera del 12 dicembre 2008, ha elaborato il presente documento di orientamento per le “Buone pratiche di intervento sullo stress lavoro-correlato”, in relazione al mandato ricevuto di fornire indicazioni operative per affrontare con adeguatezza le valutazioni e gli altri interventi previsti dal D.Lgs 81/2008.
  2. Con particolare riguardo ai danni di origine psicosociale e alla loro valutazione si vedano: Art. 11 Dlgs 151/01 Testo unico disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno maternità (prevede la valutazione dei rischi tra i quali quelli alla lettera G dell’allegato C “fatica mentale”); DM 27/04/04 Elenco malattie per le quali è obbligatoria la denuncia; Lista II “malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro”; Dlgs. 38/00, art.55 “Danno biologico (“lesione dell’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico-legale, della persona”); Codice civile art.2087 (“adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che , secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro”). Per quanto riguarda aspetti di natura preventiva si veda ad esempio il DPCM 24/03/04 “Misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche Amministrazioni”.
  3. Per determinare i requisiti minimi di competenza nel settore e predisporre forme di accreditamento da parte dell’Ordine, è possibile prendere a riferimento il livello di competenza indicato nel documento dell’Advanced Certificate in W&O Psychology (www.eawop.org/web/?cat=47). Il documento, proposto dalla Associazione scientifico-professionale unitaria EAWOP (European Association of Work and Organizational Psychology) è attualmente (maggio 2009) all’approvazione delle competenti Associazioni nazionali europee del settore.
  4. Pur non intendendo richiamare la copiosa letteratura scientifica in materia si suggerisce di tenere presenti, ad esempio, le classificazioni degli stressors in: www.osha.europa.eu/publications/reports/203/stress_en.pdf.; Cox, T., Griffiths, A. e Rial-Gonzales, E. (2000). Work-related Stress. Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities; programma PRIMA-EF (www.prima.org).
  5. Il coinvolgimento dei lavoratori e, soprattutto dei loro rappresentanti sindacali, non solo è funzionale al buon esito della valutazione e degli interventi sui fattori di stress lavoro-correlato, ma è richiesto dall’accordo interconfederale fra le parti sociali. Inoltre, tale accordo diviene rilevante a proposito della stessa utilizzazione di strumenti di misura dello stress (questionari) che, per altro, devono essere coerenti con quanto previsto dallo statuto dei lavoratori (L. 300/70).
  6. da: www.osha.europa.eu/it/topics/riskassessment
  7. L'Agenzia è un'organizzazione “tripartita” con sede a Bilbao; ciò significa che essa opera collaborando con i governi, i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori. Essa si pone come punto di riferimento tecnico unico per il reperimento di informazioni sulla SSL. L'Agenzia commissiona, raccoglie e pubblica nuovi studi e statistiche sui rischi della SSL.
  8. Affinché l’offerta di collaborazione dello psicologo alle aziende sia reputata adeguata e conveniente essa dovrà presentare i requisiti di qualità, sostenibilità e corrispondenza ai bisogni che rendano possibile dimostrare il valore aggiunto degli interventi dello psicologo rispetto a quelli di altri professionisti.

 

GLOSSARIO - (dal testo del Dlgs.81/2008)

«addestramento»: complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l'uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro;

«addetto al servizio di prevenzione e protezione»: persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all'articolo 32, facente parte del servizio di cui alla lettera l);

«azienda»:il complesso della struttura organizzata dal datore di lavoro pubblico o privato;

«buone prassi»: soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di lavoro, elaborate e raccolte dalle regioni, dall'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dagli organismi paritetici di cui all'articolo 51, validate dalla Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 6, previa istruttoria tecnica dell'ISPESL, che provvede a assicurarne la più ampia diffusione;

«datore di lavoro»il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unita' produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività', e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo;

«dirigente»: persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività' lavorativa e vigilando su di essa;

«formazione»: processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi;

«informazione»: complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro;

«lavoratore»: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito e' equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell'ente stesso; l'associato in partecipazione di cui all'articolo 2549, e seguenti del codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l'allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l'allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; il volontario, come definito dalla legge 1° agosto 1991, n. 2 66; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il volontario che effettua il servizio civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni;

«linee guida»: atti di indirizzo e coordinamento per l'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza predisposti dai Ministeri, dalle regioni, dall'ISPESL e dall'INAIL e approvati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

«medico competente»: medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all'articolo 38, che collabora, secondo quanto previsto all'articolo 29, comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed e' nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto;

«modello di organizzazione e di gestione»: modello organizzativo e gestionale per la definizione e l'attuazione di una politica aziendale per la salute e sicurezza, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, idoneo a prevenire i reati di cui agli articoli 589 e 590, terzo comma, del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro;

«norma tecnica»: specifica tecnica, approvata e pubblicata da un'organizzazione internazionale, da un organismo europeo o da un organismo nazionale di normalizzazione, la cui osservanza non sia obbligatoria;

«organismi paritetici»: organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l'elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l'assistenza alle imprese finalizzata all'attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento;

«pericolo»: proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni;

«preposto»: persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa;

«prevenzione»: il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità' dell'ambiente esterno;

«rappresentante dei lavoratori per la sicurezza»: persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro;

«responsabile del servizio di prevenzione e protezione»: persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all'articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi;

«responsabilità sociale delle imprese»: integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende e organizzazioni nelle loro attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate.

«rischio»: probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione;

«salute»: stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità;

«servizio di prevenzione e protezione dai rischi»: insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all'azienda finalizzati all'attività' di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori;

«sistema di promozione della salute e sicurezza»: complesso dei soggetti istituzionali che concorrono, con la partecipazione delle parti sociali, alla realizzazione dei programmi di intervento finalizzati a migliorare le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori;

«sorveglianza sanitaria»: insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all'ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell'attività' lavorativa;

«unità produttiva»: stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all'erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale;

«valutazione dei rischi»: valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza.