Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato e benessere organizzativo

Tratto dal blog: http://salutesicurezzalavoro.over-blog.it/

Ogni volta che esce una normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro che introduce un nuovo rischio, il medico competente si trova di fronte all’occasione di fare riflessioni su cosa siano e in che cosa consistano alcuni elementi essenziali della sua attività di operatore della prevenzione. Così è stato per il passaggio dal D.P.R. 303/56 al D.Lgs 277/91 e poi al D.Lgs 626/94, in cui veniva introdotto l’obbligo esplicito di esprimere il giudizio di idoneità al termine della visita medica e per i quali non valeva più il concetto di presunzione del rischio, ma si introduceva il concetto di valutazione del rischio. Il D.lgs. 81/08 introduce, un ampliamento del ruolo del medico competente e delle sue responsabilità. Oltre a collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori deve collaborare alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i principi della responsabilità sociale. I cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro hanno in pochi anni modificato profondamente la struttura organizzativa delle imprese. Le ricerche e gli studi sullo stress connesso all’attività lavorativa indicano che il disagio ed il malessere sul lavoro sono in continuo aumento per incidenza, per prevalenza ed intensità: non raramente disagio e malessere si trasformano, dopo ripetuti e lunghi periodi di disaffezione e assenze dal lavoro, in veri e propri “casi clinici” d’alterata interazione sociale nei luoghi di lavoro. Questi nuovi rischi emergenti della medicina del lavoro si prestano forse meglio ad essere affrontati con il concetto di presunzione del rischio e pongono invece alcune difficoltà ad essere valutati come rischi per cui poter stabilire una soglia.

I principali fattori psico-sociali connessi con i compiti e l’organizzazione del lavoro, che possono costituire un rischio per la salute dei lavoratori, si riferiscono in particolare a: contenuto del lavoro (ad es. complessità, imprevedibilità/incertezza, possibilità di controllo, significato, competenze richieste, contatto con il dolore e la morte); carichi e ritmi di lavoro (sovra o sottocarico, pressione del tempo, ritmi elevati); grado di responsabilità e gravità delle possibili conseguenze dell’errore; orari di lavoro (orari prolungati, orari variabili, turni notturni); livello di partecipazione/decisione; possibilità e sviluppo di carriera; mobilità attiva o passiva; ruolo nell’organizzazione (ambiguità e conflitti di ruolo); formazione e addestramento (livello di adeguatezza); funzione e cultura organizzativa (comunicazione, stile di gestione, soluzione di problemi); relazioni interpersonali sul lavoro (conflitti, isolamento, carenza di supporto, discriminazione); rapporti/interferenze casa-lavoro (carichi familiari, pendolarismo, servizi sociali carenti).

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che, nel 1986, ha definito i rischi psicosociali in termini di interazioni tra contenuto del lavoro, gestione e organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e le esigenze e competenze dei lavoratori li definisce  “QUEGLI  ASPETTI  DI   PROGETTAZIONE  DEL  LAVORO  E  DI  ORGANIZZAZIONE  E  GESTIONE DEL  LAVORO,  E  I  LORO  CONTESTI  AMBIENTALI  E  SOCIALI,  CHE  POTENZIALMENTE POSSONO  DAR  LUOGO  A  DANNI  DI  NATURA  PSICOLOGICA,  SOCIALE  O  FISICA”. E’ anche in questo contesto che il D.Lgs 81/08, e più recentemente il D.Lgs 106/09, sottopongono all’attenzione del medico del lavoro questo nuovo rischio, il rischio stress lavoro correlato.

In sintesi gli obblighi del medico competente, secondo la nuova normativa, riguardano le aree della valutazione, della prevenzione dei rischi, della sorveglianza sanitaria, dell’informazione e formazione, dei programmi volontari di “promozione della salute”. Alcuni di questi consentono di intervenire sulla base del contributo dello stato dell’arte della materia, altri hanno dei limiti che sono dati dalla normativa e dalla giurisprudenza sull’argomento. Il medico competente ha responsabilità penali dirette in base alla normativa e quindi deve assicurarsi che il proprio operato sia rispettoso dei dettami di legge e che segua la metodologia della propria disciplina, che rappresenta anche la possibilità di garantire al lavoratore in maniera omogenea per tutti i tipi di rischio le stesse tutele di tipo preventivo e previdenziale. Sulla base di queste considerazioni i problemi relativamente alla gestione dello stress lavoro correlato per il medico competente nascono soprattutto dalla partecipazione alla valutazione del rischio e dalla corretta attuazione della sorveglianza sanitaria, poiché, solo esaminando correttamente le condizioni di lavoro che possono essere considerate potenzialmente stressogene per i lavoratori risulta evidente come queste siano, sostanzialmente, correlate al modo in cui le attività lavorative sono progettate, organizzate e gestite.

Anche per i rischi psicosociali il primo passaggio dalla valutazione del rischio, rappresentato dalla “ lista dei pericoli”, appare difficile da gestire. L’anamnesi occupazionale, di competenza del medico del lavoro, comprende una raccolta di dati tramite colloquio diretto con il paziente, e nel caso di stress, riveste un’importanza del tutto particolare e richiede l’intervento e la collaborazione interdisciplinare del medico del lavoro, dello psichiatra e dello psicologo. Pertanto i tempi di raccolta sono molto lunghi, nell'ordine di ore, e con ripetute verifiche e confronti da parte degli specialisti. Il danno psicosociale rispetto al danno fisico rivela alcune differenze. Infatti non è sempre chiaro quale forma di danno è causata dai rischi psicosociali: ad un estremo ci potrebbe essere la malattia psichiatrica, ma dall’altro un ampio range di stati d’umore (ansia, depressione, irritabilità) e affettivi (poca soddisfazione professionale, basso impegno organizzativo) sono attribuiti allo stress così come un ampio range di sintomi psicosomatici (cefalea, insonnia). Ciò che interessa principalmente al medico del lavoro nella valutazione del rischio è che ciò che viene valutato appartenga al ciclo lavorativo, perché ad esso va riferito il suo ambito preventivo e la prevenzione della malattia professionale. La confusione nel concetto di valutazione del rischio deriva anche dalla interazione tra figure professionali diverse con diversa formazione culturale. Lo stress lavoro correlato è sicuramente un rischio ubiquitario (come del resto sottolinea anche l’Accordo Europeo), però considerare ogni situazione lavorativa come un contesto in cui lo stress possieda capacità di fare danno, requisito per valutarne il rischio, è un assunto che potrebbero rendere più difficile far rientrare il fenomeno negli stessi percorsi preventivi e previdenziali degli altri rischi professionali.

Un altro aspetto critico è la limitazione dell’intervento del medico competente alla valutazione dei rischi ai soli casi in cui si renda necessaria la sorveglianza sanitaria (comma 1 art. 29 D.Lgs 81/08). Nel caso della valutazione del rischio dello stress lavoro correlato, pone il problema di chi possa valutare la vulnerabilità del lavoratore, elemento importante per completare questo adempimento preventivo, e che, gestendo dati che riguardano anche la salute del singolo lavoratore, sono per legge posti sotto la tutela del medico competente, che nello specifico compito è responsabilizzato da sanzioni penali. Alcune esperienze di valutazione del rischio, come le linee di indirizzo della regione Toscana sullo stress lavoro correlato (DOSSIER RISCHIO STRESS LAVORO CORRELATO) pubblicato da puntosicuro, hanno avuto l’opportunità di essere condivise dalla varie figure private e pubbliche degli operatori della prevenzione, così da rendere più chiaro il percorso di interpretazione della normativa. Il decreto legislativo 81/08 all’art. 41 ribadisce che la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente. Cioè quando i rischi sono individuati per legge o quando individuati dalla valutazione del rischio. Per poter attivare la sorveglianza sanitaria è necessario che il rischio venga ritenuto tale da poter realizzare danno e ciò deve essere previsto nel Documento di valutazione del rischio; in questo modo si ripropone il problema di individuare un valore soglia, difficilmente definibile per quanto riguarda lo stress. La definizione di idoneità al lavoro impostata negli anni 50 poggia sui concetti di validità, idoneità, capacità e abilità. Dal contesto delle definizioni si intuisce che il termine idoneità individua una condizione intermedia tra validità e capacità. L’idoneità deve essere considerata come la validità con preciso riferimento ad una determinata attività o mansione specifica.

“Nel valutare l’idoneità alla mansione specifica il medico del lavoro competente deve prendere in considerazione il possesso da parte del lavoratore dei requisiti psico-fisici comunemente indispensabili per lo svolgimento della mansione e non il possesso dei migliori requisiti psicofisici necessari per lo svolgimento della stessa” (Corte di Cassazione del 7/7/1987).

Quindi, il riscontro di soli indicatori organici non è sufficiente per la sorveglianza sanitaria nel campo di un rischio da stress, se non accompagnato dalla raccolta relativa a dati relativi alla sfera psichica e comportamentale, che potrà essere facilitata da strumenti utilizzati nello screening. Particolarmente delicato è a questo proposito l’ambito della vulnerabilità individuale, che può essere indagata attraverso strumenti che valutino la personalità del lavoratore. L’approccio a questa tipo di indagine presenta però alcuni limiti. In primo luogo tali strumenti richiedono competenze specialistiche; secondariamente possono offrire occasione per strumentalizzare la scelta dei lavoratori durante la fase di assunzione, passando dalla sorveglianza sanitaria a pratiche di selezione del personale, rischiando di cadere così in un comportamento non solo poco etico, ma anche al di là dei limiti della normativa. Laddove si debba intervenire nella fase di visita preventiva è opportuno basarsi sulla raccolta di dati anamnestici, meglio se integrati da interviste (strutturate e semistrutturate), che indaghino nel campo della patologia della sfera psichica. Nel caso in cui si rilevi un quadro compatibile con patologie psichiatriche, che possano interferire con l’idoneità alla mansione, può essere consigliabile rivolgersi allo specialista. L’atto finale della sorveglianza sanitaria è il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

Gli aspetti di tutela della salute generale che questo atto comporta non pongono grandi problemi. L’aspetto più critico è rappresentato dalla tutela che l’espressione del giudizio deve fornire relativamente al manifestarsi della malattia professionale. Questo implica un riferimento ad uno specifico rischio per il quale il datore di lavoro è soggetto ad una precisa responsabilità. Lo stress-lavoro correlato presenta alcune analogie con rischi che sono condivisi dalla popolazione generale e per questa caratteristica potrebbe essere considerato un rischio generico aggravato, che non appartiene preferenzialmente ad alcune categorie. Quello che emerge dall’analisi dei problemi da affrontare per la gestione dello stress lavoro correlato è che le attività di sorveglianza sanitaria e valutazione del rischio sono ancora più interdipendenti che con i rischi tradizionali. Questo sottolinea la centralità del ruolo del medico competente in queste due attività, che, anche quando debba rivolgersi alla consulenza dello specialista, rimane il principale riferimento per la tutela della salute e della riservatezza del lavoratore. Ecco quindi che laddove le conoscenze della disciplina entrano in conflitto con richieste di legge, il medico del lavoro possiede la professionalità per guidare verso la soluzione più appropriata.

In questa fase è opportuno che vengano date indicazioni precise dagli organismi incaricati, come la Commissione Consultiva Permanente, che consentano di attivare i necessari percorsi preventivi anche laddove il contributo della scienza non riesce a fornire risposte chiare a questo fine. La raccolta e la valutazione dei dati provenienti dalle diverse proposte ed esperienze condotte in questi anni potrà essere un’utile base per future indicazioni operative basate su una maggiore evidenza scientifica, ma al contempo rispettose della metodologia della medicina del lavoro, come prevede il D.Lgs 81/08, e del ruolo dei soggetti implicati. Per ogni organizzazione è assai conveniente, oltre che doveroso in termini normativi, impegnarsi a fondo nella prevenzione dei rischi psicosociali allo scopo di perseguire sia la salute degli operatori sia l’efficienza/efficacia organizzativa. Questo impegno è finalizzato, infatti, a migliorare i processi lavorativi prevenendo l’insorgere di eventi negativi quali conflitti difficilmente gestibili, stress eccessivo, assenteismo e turnover. In ultima analisi, valutare e prevenire lo stress assicura un vantaggio competitivo all’azienda.