Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato e benessere organizzativo

Come si affronta la complessità

 

Quali sono, dunque, i modi con cui si cerca di trattare lo complessità all'interno delle organizzazioni? Ci sembra che siano diverse le soluzioni applicate, a volte in forme più o meno consapevolmente integrate o sovrapposte o alternate, tutte forse accomunate dal fatto di cercare di aggirare, evitare, allontanare l'incontro con lo densità e l'intensità dei contesti compiessi.  Ai fini della nostra analisi ci sembra utile trattare due principali tipologie di risposta accomunate dal fatto di assumere una logica speculare nei confronti della complessità (trattata quindi con modalità di "a domanda/problema rispondo") e distinte in funzione dell' oggetto principale di lavoro che assumono. Da una parte c'è lo risposta centrata sul ridisegno organizzativo delle strutture e finalizzata alla ottimizzazione della performance organizzativa in chiave di efficacia e di efficienza, dall'altra c'è lo risposta orientata alle persone che si propone di mettere al centro le "risorse umane" di cui ci si occupa cercando di prescriverne il benessere o di riconoscerne colpe, mancanze cui imputare i disagi e le disfunzioni organizzative.

 

Reagire alla complessità attraverso interventi di riorganizzazione, più o meno consistenti, è una via sempre più diffusa e progetti di questo tipo sono all'ordine del giorno praticamente in tutti i settori e in tutti i tipi di organizzazioni. L’intento è di contenere lo complessità essenzialmente ridefinendo ruoli, mandati, procedure e processi in un'ottica di proliferazione o di riduzione degli stessi, guardando alla complessità come male necessario da trattare con soluzioni che paradossalmente trovano a volte, proprio nella loro incomprensibilità, il segno del loro apparente valore. D'altro canto tutti i progetti di riorganizzazione vengono "venduti" all'interno delle strutture come progetti di miglioramento organizzativo sostenuti da logiche di razionalità tecnica e strumentale sebbene spesso lo sensazione delle persone che vi sono coinvolte è che si tratti di cambiamenti, e non di miglioramenti, avvertiti come non voluti, immotivati o incomprensibili, ingovernati o ingovernabili.

 

Si lavora, quasi incessantemente, al ridisegno dei ruoli di singoli, di gruppi/aree/uffici/dipartimenti, fino ad arrivare al riassetto strutturale dell'intero modello organizzativo, sostenuto anche da investimenti complementari di natura tecnologica. Quello che sembra importante è progettare bene definizioni strutturali, collocazioni e contenuti dei ruoli, eliminandone alcuni ed introducendone altri, "nuovi". A volte i ridisegni sembrano far proliferare ruoli che paradossalmente hanno nomi sempre più lunghi, ma attività sempre più difficili da descrivere, da spiegare, con il risultato che sempre più spesso c'è differenza tra quello che viene scritto nei documenti ufficiali e quello che viene compreso, riferito, agito, sentito dalle persone che occupano quelle stesse posizioni.

 

Per molte aziende industriali, ad esempio, lo crescita organizzativa (o forse lo complicazione organizzativa) ha implicato il passare, spesso molto rapidamente, da ruoli funzionali, a ruoli divisionali, a ruoli matriciali, a ruoli di processo, a ruoli di staff aventi denominazioni sempre più complesse, con un conseguente intreccio di riferimenti di autorità, per cui una singola persona si trova ad avere due, anche tre persone come capi cui riferire, su livelli nazionali ed internazionali, a volte per questioni differenti, a volte per questioni che si sovrappongono e si contrastano.

 

Una storica azienda imprenditoriale del Nord Italia ha pensato di affrontare lo sfida dell'espansione sui mercati esteri introducendo, nel giro di due anni, tutti gli strumenti manageriali più avanzati, dal BPR alla Balance Scorecard", modificando completamente lo propria struttura funzionale, aumentando e duplicando livelli dirigenziali, salvo accorgersi, subito dopo, che l'imprenditore per primo non riusciva a comprendere ed a gestire tutti questi strumenti e che era necessario tornare a forme più semplificate di organizzazione. In un Comune di un'importante città del NordEst nel giro di quattro anni si sono avute quattro riorganizzazioni con diversi accorpamenti e suddivisioni dei servizi, con diverse configurazioni e attribuzioni di ruoli: e in ogni caso non si è riusciti ad esporre ragioni sufficientemente fondate sul perché, ad esempio, i servizi dell'area minori e famiglie (chiamati a intervenire con competenze elevate, su questioni sofisticate, riguardanti adozioni, affidi, allontanamenti per decisione del tribunale, decadimenti di patria potestà, ecc.) affidati a un'équipe centrale, siano stati smembrati ¬ suddividendo gli operatori per collocarli in ordine sparso alle dipendenze delle circoscrizioni. In Emilia cinque aziende sanitarie locali sono state fuse in un'unica azienda che ora ha 8500 dipendenti ed è costituita da territori tra loro molto diversi, da un'area urbana intensamente popolata ad una zona montana con piccoli comuni, semi abbandonati; come altre fusioni del genere ha implicato accentramenti gestionali che avrebbero dovuto offrire maggiori possibilità di risparmio e di riduzione delle spese, ma al tempo stesso si è allungata lo scala gerarchica e si sono rallentati i processi di comunicazione e decisione.

 

Quello che poi accade di frequente è l'alternarsi di fasi in cui si introducono e moltiplicano le "novità" - nuove articolazioni, nuovi uffici, servizi, ruoli - con altre fasi, seguenti (spesso tipicamente coincidenti con momenti di crisi), in cui si cerca invece di ridurre e semplificare, eliminando posizioni, attività, livelli.

 

Le riunioni, i comitati di coordinamento, i gruppi di monitoraggio, che fanno anch'essi sempre più frequentemente parte dei ridisegni organizzativi, assolvono, per lo più, in questi contesti, una mero funzione di informazione didascalica che però non aiuta i singoli ed i gruppi a tracciare, a ricomporre ed a costruire legami di senso tra le diverse attività, tra diversi progetti e mandati spesso non univoci, tra patrimonio di competenze preesistenti e nuovi orientamenti e ambiti di attività. Così si assiste alla proliferazione di ruoli di intermediazione, di collegamento che dovrebbero ricomporre ciò che è stato scomposto, ma nella realtà, vengono spesso interpretati o visti come depositari di funzioni di controllo più che di facilitazione di dialoghi e comprensioni.

 

Tutti questi interventi di riorganizzazione sembrano muoversi nella logica di affrontare lo complessità dell'insieme dell' organizzazione, frantumandola in parti (settori, sezioni) che, in quanto di dimensioni ridotte e circoscritte, possono essere maggiormente isolabili, gestibili, controllabili. Il risultato è di introdurre specializzazioni, separazioni, scissioni. Gli oggetti di lavoro perdono lo rappresentazione tradizionale, comunque relativamente compiuta e integrata, per essere scomposti in pezzi che ognuno, gelosamente ed esclusivamente, tende ad alimentare arrivando spesso al punto di non porsi più lo domanda sul "se", sul "come" e "dove" il proprio lavoro vada a confluire.

 

La gestione di ogni singolo pezzo richiama ed esige l'attività di esperti e specialisti posti in una precisa gerarchia di saperi cui spesso ci si rivolge, anche con aspettative quasi magiche e taumaturgiche. L'accreditamento dei professionisti, interni ed esterni all'organizzazione, passa dal loro livello di specializzazione e a questi vengono affidate deleghe, mandati, progetti ben focalizzati il cui buon esito sembra essere proprio misurato dal fatto di raggiungere un obiettivo a prescindere dal contesto complessivo, senza individuare, considerare, valutare, per riprendere il linguaggio medico, le interdipendenze e gli effetti collaterali".

 

Si potrebbe dire "l'operazione al cuore è perfettamente riuscita, ma il paziente è morto".

 

Accanto agli investimenti rivolti ad affrontare lo complessità con cambiamenti "micro-strutturali" si propongono delle ristrutturazioni totali, organiche dell'intero sistema organizzativo, contemporaneamente o a seguito di esiti insoddisfacenti o sotto lo pressione di esigenze e condizioni esterne non gestibili diversamente. Fusioni, accorpamenti e scorpori di rami di azienda, accentramenti e decentramenti sono tutte soluzioni organizzative pensate come risposta alla complessità crescente che rappresentano veri e propri cicloni all'interno delle organizzazioni e dei cicloni sembrano avere, oltre che lo forza, anche lo velocità di azione e lo imprevedibilità di traiettoria. Tutti elementi che generano rapidamente all'interno un senso profondo di incertezza, di precarietà, di confusione, di smarrimento. In tutti i casi si tratta di soluzioni che mettono al centro lo struttura organizzativa nella sua componente "hard" mentre le persone rimangono come variabile "dipendente", subordinata. Quanto ci si interroga sulla valenza politica più complessiva di questa opzione? Sugli impatti diretti ed indiretti che questa rappresentazione delle relazioni ha nel contesto sociale più ampio?

 

Una seconda modalità di risposta alla complessità concentra l'attenzione sulle persone e si traduce in attività quali indagini sul clima organizzativo, ricerche sul benessere, ricerche partecipate o ricerche intervento per predisporre nuove produzioni, nuovi servizi, ecc. Si realizzano focus group, questionari e interviste per considerare le opinioni, i vissuti, le aspettative delle persone, partendo però, nella maggior parte dei casi, da schemi preordinati che inevitabilmente selezionano la raccolta di segnali intrinsecamente deboli e che consentono, a volte, di aggirare più o meno consapevolmente i veri nodi critici.

 

L'obiettivo dichiarato è il benessere organizzativo, che si presume raggiungibile seguendo una logica che potremmo definire di tipo prescrittivo e binario poiché opera alimentando scissioni tra giusto e sbagliato, buoni e cattivi, colpevoli e salvatori, vittime e carnefici.

 

È una risposta che assume la complessità come sinonimo di confusione, quasi di vera e propria patologia, che elude accuratamente una visione multicausale e tende piuttosto a sollecitare la messa in evidenza di fattori esterni, a cui si deve sottostare perché incontrollabili e indiscutibili oppure modifica bili per volontà (buona), con mutamenti di strategie aziendali e di atteggiamento da parte dei vertici aziendali e in genere dei ruoli gestionali. Soprattutto allestendo in modo un po' generico e scarsamente contestualizzato (ad esempio utilizzando questionari e griglie standard) delle situazioni di ascolto di vari gruppi composti con criteri astratti e impersonali è molto presente il rischio che vengano offerte delle opportunità di sfogo, che si colorano di lamentazione/deplorazione con cui si pensa di poter influenzare i comportamenti, o di colpevolizzazione di alcuni che di volta in volta sono i dirigenti, se si esprimono i collaboratori o i vari dipendenti, se ad esprimersi sono le figure direttive. Il rischio inscritto in queste iniziative è che nel prendere atto di insoddisfazioni e negatività più esplicitamente dichiarate (anche se già prima si potevano comunque supporre) non si veda altro sbocco che ribadire ulteriormente quelli che diventano dei veri e propri precetti (come le richieste di velocità e di flessibilità ormai divenute al contempo sinonimi e imperativi della modernità), particolarmente paradossali se rivolti a capi intermedi e dirigenti che sembrano non collocarsi o non volersi collocare rispetto a generiche e modaiole prescrizioni come il lavorare in team, l'essere integrati, il fare gruppo e così via.