Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato e benessere organizzativo

"I medici pensano che stanno facendo qualcosa per voi classificando come malattia quello di cui soffrite" (I. Kant)

 

"Per lo sguardo medico la malattia ha solo un decorso, un esito, mai un senso" (U. Galimberti')

Forse si può partire da queste due citazioni per proporre alcune riflessioni sugli orientamenti con cui si affrontano quelle che alcuni definiscono patologie organizzative e per le quali propongono diverse e numerose ricette di cura e guarigione. Emergono, infatti, in queste vicende delle opzioni che possiamo sicuramente definire "politiche", collegandoci, con questa espressione a quanto sostenuto ad esempio nell'articolo di A. Orsenigo presente in questo stesso numero. Si tratta di opzioni politiche, che sembrano tentare manager e imprenditori, persone che a vari livelli operano all'interno di organizzazioni di vario tipo e anche consulenti, ricercatori e formatori. Opzioni non esplicitate e spesso sottovalutate, ma che ci sembra abbiano una rilevanza e degli impatti trasformativi consistenti sulla vita delle organizzazioni e sulle rappresentazioni che i singoli che vi lavorano si creano, ad esempio, in tema di valori, priorità, modalità di stare in relazione con gli altri, con i problemi, e che gli stessi utilizzano anche per rappresentarsi quanto avviene nel contesto sociale, e quindi politico, più ampio. Peraltro molti dei problemi che vivono le organizzazioni, e di cui parleremo in questo articolo, ci sembrano gli stessi che, ad altro livello, attraversano la nostra società e che quindi interessano ed impegnano chi si occupa di politica intesa, come da definizione classica del dizionario, come scienza ed arte di governare lo stato. Allora ci sembra che molto spesso il lettore potrebbe sostituire la parola organizzazione con la parola società e pensare che quelli cui ci riferiamo parlando di manager, capi, autorità organizzative possono essere pensati come i politici che scegliamo andando a votare.

 

Nelle organizzazioni, a fronte di insuccessi e risultati negativi, di conflitti e insoddisfazioni, di blocchi, tensioni e confusioni, di situazioni sempre più diffusamente definite stressanti, sembra che sia possibile, anzi necessario, doveroso, in quanto logico e efficace, definire, individuare cause e caratteristiche di determinate patologie per arrivare alla loro eliminazione (il più possibile rapida ed indolore). Ovvero, nonostante siano stati scritti fiumi d'inchiostro, si siano fatti centinaia di convegni e seminari, lezioni e conferenze sul tema delle organizzazioni come realtà sociali irriducibili, si continuano a vedere i fenomeni che scandiscono la loro vita come malattie, alterazioni di un presunto stato di salute, mali da estirpare, ostacoli da superare, e quindi segni di debolezza, di cedimento. L’organizzazione sembra debba essere considerata come un organismo armonicamente funzionante, che deve essere liberato dal male prima ancora che si sia capito in che cosa effettivamente consista la sua salute". Peraltro quello di cui si parla più spesso sono le cosiddette patologie organizzative che impattano sui risultati di efficacia e di efficienza mentre è quasi un tabù organizzativo svelare i collegamenti tra le patologie che riguardano i singoli (che si ammalano di organizzazione e per l'organizzazione in forme più o meno dirette ed evidenti e più o meno gravi) ed il contesto in cui lavorano, pur essendo il luogo di lavoro quello in cui le persone trascorrono la maggior parte del loro tempo.

 

AI manager o al consulente, al nuovo direttore o anche al formatore frettolosamente ingaggiato viene allora spesso affidato un mandato assai simile a quello che si potrebbe dare ad un medico, in cui affidamenti impliciti e carichi di ambivalenze si impacchettano in linguaggi sovrapposti, incrociati, contaminati con un rassicurante gergo sanitario, con seduttivi riferimenti a ricette miracolose da sintetizzare in slogan accattivanti (ad , esempio corsi manageriali su "benessere organizzativo e check up di clima", su "come vincere lo stress", su "come dare energia al team di lavoro"). Se pensiamo alla politica pubblica l'equivalente parte dagli slogan elettorali e prosegue nei programmi elettorali e poi nelle leggi ad effetto che spesso sembrano più pensate per i titoli di giornale che per risolvere problemi effettivi.

 

Probabilmente alcune definizioni che sono proprie della cultura medica tradizionale occidentale, vengono utilizzate anche dalla cultura manageriale di stampo aziendalista, per parlare dei disagi che si vivono all'interno delle organizzazioni, perché entrambe le culture condividono degli assunti di impronta cartesiana che portano a rappresentazioni molto simili rispetto ai concetti di benessere e malessere ed al loro relativo trattamento.

 

D'altra parte ci sembra di rilevare, in ambedue gli ambiti culturali, alcuni movimenti, forse ancora minoritari ed a volte guardati con diffidenza, che si rapportano alla "malattia" in un'ottica più dinamica, come fonte di conoscenza, come messaggio significativo, che la realtà corporea, mentale e sociale offre per illuminare, considerare, capire, sentire qualcosa che forse sta sfuggendo o che non si vuole, più o meno consapevolmente vedere, incontrare, assumere.

 

In medicina sta aumentando sempre più la consapevolezza del ruolo dei fattori psicologico - relazionali nella malattia, così come interessanti ed utili appaiono gli sviluppi ed i collegamenti con le neuroscienze e la diffusione di orientamenti olistico - sistemici, generando quello che viene definito un modello bio - psicosociale" che si caratterizza per il progressivo riconoscimento dell'importanza di valorizzare la complessità ed il ruolo delle interdipendenze che investono livelli diversi, primo tra tutti quello che riguarda l'interazione persona-ambiente.

 

Riferimenti ad alcune delle tendenze evolutive che si evidenziano anche nel!' ambito della cultura medica occidentale, sollecitano e inducono a mettere ulteriormente in luce delle ipotesi, forse più specifiche e appropriate, per trattare alcune questioni critiche che attraversano le organizzazioni di oggi nel tentativo di ricostruire un senso, più vitale e meno patologico, di alcuni nodi critici ("la malattia è fredda ed io ho imparato a ricreare il calore sottratto").

 

Il persistere e l'insistere nel credere e nel far credere che sia possibile diagnosticare i mali delle organizzazioni e curarli, probabilmente può essere letto come un atteggiamento politico carico di ambivalenza: da un lato si prendono posizioni e iniziative rivolte a migliorare il funzionamento complessivo; si manifesta un concreto interesse per modificare positivamente le condizioni di lavoro, anche in vista di rispondere ad attese dei singoli; dall' altro lato, si assume che il bene dell' organizzazione e di chi in essa lavora, possa essere individuato e messo in atto da chi nell'organizzazione ha un ruolo apicale (rifacendosi ad un approccio paternalistico) o da chi ha un ruolo tecnico-specialistico (approccio tecnocratico) che lo autorizza a decidere sui problemi e sulle persone, a volte anche sovrapponendo alla realtà complessa e multiforme dei modelli astrattamente ordinati o imponendo una propria visione unilaterale e semplificante. In politica queste semplificazioni appaiono molto diffuse e rimandano ad un orientamento fortemente di-simmetrico in cui spesso chi ha la responsabilità politica ritiene di assumere il compito di fornire visioni positive, ricette di successo che possano assurgere al ruolo di storie vincenti in grado di motivare e di creare consenso".

 

La scelta di andare in questa direzione non è neutra, sia essa fatta in "buona" fede, con intenzioni e motivazioni orientate a migliorare, sia essa piuttosto rivolta a far prevalere univocamente strategie e propositi di qualche individuo o di qualche gruppo a cui gli altri o l'organizzazione nel suo insieme inevitabilmente deve sottostare. Non è neutra perché è impregnata di diverse concezioni dei rapporti (tra differenti attività, posizioni, visioni, interessi che costituiscono la realtà organizzativa) che possono assumere differenti configurazioni tra due polarità, tra il considerarle come pluralità da riconoscere e connettere o trattarle come multiformità rischiose da controllare riducendole entro interazioni gerarchiche duali.

 

Nelle riflessioni che seguono tentiamo di segnalare alcune questioni critiche che attraversano le organizzazioni e gli individui che ne fanno parte, non rappresentandole come patologie, ma cercando piuttosto di contestualizzare quanto si rileva quotidianamente nei micro-contesti lavorativi, rispetto ad alcune tendenze che si registrano ad un livello più generale e complessivo e di proporre ipotesi per gestire alcune situazioni di malessere organizzativo con minor frustrazioni e disagi e, persino, con qualche soddisfazione possibile; optando cioè per una valorizzazione dei contenuti conoscitivi e degli apporti anche discordanti e impertinenti di chi comunque in queste situazioni lavora.