Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato e benessere organizzativo

 

 

1. MODELLI DI STUDIO DELLO STRESS OCCUPAZIONALE

 

1.1 Considerazioni generali

 

Il termine stress viene utilizzato sotto diversi aspetti:

 

• come condizione ambientale

 

• come valutazione di una condizione ambientale

 

• come risposta ad una condizione ambientale (definizione di Selye)

 

• come discrepanza percepita tra le richieste ambientali e la capacità di farvi fronte, dove le conseguenze del fallimento sono percepite come importanti dal soggetto.

 

Molti autori hanno cercato di identificare i fattori che possono rappresentare degli stressors, cioè quegli eventi o condizioni ambientali che provocano stress. Questi fattori possono riguardare condizioni oggettive (turni, disoccupazione ed altro) e soggettive (percezione di eccessivo carico di lavoro, conflitti, ambiguità di ruolo, etc.). Altri autori hanno cercato di definire le caratteristiche essenziali del lavoro stressante. Un esempio ci viene dalla lista di Kasl che individua come aspetti caratteristici:

 

• la tendenza alla cronicità delle problematiche di lavoro

 

• il difficile adattamento alla situazione cronicizzata

 

• il fallimento nel rispondere alle richieste ambientali che porta a drastiche conseguenze (es: frustrazioni)

 

• il ruolo e le difficoltà lavorative che influenzano altre aree d’interazione umana (es: rapporti familiari), aumentando il rischio per la salute psicofisica.

 

In questi ultimi venti annisono stati sviluppati  modelli teorici di studio che tentano di concettualizzarela dinamica eziologica dello stress. Tra questi è opportuno ricordare il Person Environment Fit Model di French, Caplan e Van Harrison (13).  Questo modello, come quello di Karasek, è basato sulla definizione di Mc Grath della discrepanza tra ambiente e  persona.

 

Il Person Environment Fit Model di French,  Caplan e Van Harrison è stato sviluppato da un gruppo di psicologi sociali e del lavoro dell' Institute for Social Research dell' Università del Michigan, e si inscrive nella teoria del campo psicologico di derivazione "lewiniana" in cui il comportamento umano è funzione degli aspetti personali ed ambientali.  Infatti, per comprendere e descrivere il fenomeno stress,  si tiene conto non solo delle abilità, aspettative, motivazioni o rappresentazioni sociali della persona (P), ma anche dei fattori e delle variabili connessi all'ambiente (environment) lavorativo (E).

 

Il modello di French, Caplan e Van Harrison ha il merito di equilibrare la valutazione personale e soggettiva degli eventi stressanti con le dimensioni organizzative e le caratteristiche oggettive (competenze, attitudini, abilità professionali) delle risorse umane. Il modello P/E analizza i fenomeni secondo due punti di vista: il soggetto e l'ambiente.

 

Dal punto di vista del lavoratore viene studiata la relazione esistente tra i bisogni, le aspettative della persona e la possibilità che l'organizzazione ha di soddisfarli. Dal punto di vista dell'organizzazione vengono analizzate le capacità che ha il lavoratore di far fronte alle richieste lavorative. Il modello opera quindi una distinzione tra la valutazione soggettiva dell'individuo nei riguardi dell'ambiente in cui è inserito e della propria immagine lavorativa, rispetto alla valutazione oggettiva delle caratteristiche intrinseche al lavoro ed alla persona stessa.

 

Il modello ipotizza lo sviluppo di strain (simile alla nostra sollecitazione inteso come manifestazione a breve termine di stress a livello fisiologico, psicologico e/o comportamentale) quando c'è discrepanza tra le richieste dell'ambiente lavorativo e le abilità della persona a rispondervi. Lo strain sarà più elevato se c’è prevalenza delle richieste sulle capacità o discrepanza tra le aspettative della persona e le risorse ambientali disponibili per soddisfarle. Le richieste ambientali includono il carico di lavoro e la complessità del lavoro. Le aspettative includono il guadagno, la partecipazione e coinvolgimento, e l'utilizzazione delle abilità. Nell'ambito del modello quindi Person fa riferimento alla relazione tra bisogni, aspettative e possibilità di soddisfarli; Environment fa riferimento alla capacità del lavoratore di far fronte alle richieste lavorative.

 

La trasformazione del modello in un metodo di ricerca implica l'individuazione di dimensioni da misurare e di relazioni tra le dimensioni; le dimensioni più importanti sono:

  • caratteristiche dell'ambiente lavorativo: tipo di organizzazione, compiti o mansioni attribuite al singolo, regole e metodi di lavoro
  • caratteristiche della risorsa: competenza e professionalità, attitudini
  • valutazione soggettiva delle richieste oggettive dell'ambiente, influenzata da stati emozionali, motivazionali ecc.
  • valutazione soggettiva delle doti personali: valutazione di abilità, competenza, valore personale, cioè autopercezione delle potenzialità.

1.2  Il modello di Karasek e Theorell

 

Il modello di Karasek-Theorell per lo studio dello stress lavorativo percepito è stato sviluppato facendo riferimento a queste originali osservazioni. Prima del 1980 diversi studi avevano valutato alcune peculiari condizioni psico-sociali  come: carico di lavoro, conflitti di ruolo, alienazione, eventi stressanti di vita, alta responsabilità e bassa soddisfazione professionale, considerandole sia separatamente che in associazione con le malattie cardiovascolari (2,14,29).

 

Nel 1979  Robert A. Karasek pubblicò il suo primo studio sullo stress lavorativo percepito (21). Il suo modello originale suggerisce che la relazione tra elevata domanda lavorativa (job demand, JD) e bassa libertà decisionale (decision latitude, DL) definiscono una condizione di “job strain “ o “perceived job stress “ (stress lavorativo percepito), in grado di spiegare i livelli di stress cronico e l’incremento del rischio cardiovascolare. Le due principali dimensioni lavorative (domanda vs. controllo) sono considerate variabili indipendenti e poste su assi ortogonali. La job demand si riferisce all'impegno lavorativo richiesto ovvero: i ritmi di lavoro, la natura impositiva dell'organizzazione, il numero di ore lavorative e le eventuali richieste incongruenti. La decision latitude è definita da due componenti: la skill discretion e la decision authority: la prima identifica condizioni connotate dalla possibilità di imparare cose nuove, dal grado di ripetitività dei compiti e dall’opportunità di valorizzare le proprie competenze; la seconda individua fondamentalmente il livello di controllo dell’individuo sulla programmazione ed organizzazione del lavoro (23,24).

 

Il modello di job strain, è stato approfondito da J.V. Johnson e collaboratori negli Anni ‘80.  Sostanzialmente  è stata aggiunta una terza dimensione: la work place social support o social network (18,19). In accordo con questo modello il più elevato rischio di malattie cardiovascolari si è rilevato nei gruppi connotati da una elevata domanda lavorativa, da una bassa possibilità decisionale (DL) e da un basso supporto sociale da parte di colleghi e capi. Johnson e Stewart hanno anche elaborato una matrice che attribuendo punteggi medi delle componenti principali sopraesposte alle specifiche mansioni, era in grado di stimare l’esposizione a condizioni di job strain durante l’intera vita lavorativa o perlomeno per prolungati periodi caratterizzati da differenti attività lavorative (20).

 

Nella versione più concisa del questionario -11 domande- vengono valutati i rapporti esistenti tra entità della domanda imposta al lavoratore e la possibilità che questo ha di rispondervi e determinare liberamente le decisioni inerenti la mansione. Tramite questo strumento è comunque possibile individuare le classiche quattro condizioni di lavoro, caratterizzate da: high strain, elevata domanda con bassa libertà di decisione; passive, bassa domanda con bassa decisione (tipica di mansioni che non incentivano le capacità individuali con marcati livelli di insoddisfazione); active, elevata domanda con elevata decisione (occupazioni caratterizzate da un elevato grado di apprendimento e che impongono all’individuo un’intervento in tempi rapidi e con elevata resposabilità) e low strain, bassa domanda con elevata decisione (situazione lavorativa ottimale, in cui l’individuo può gestire in autonomia il suo tempo lavorativo).

 

Tuttora la teoria di Karasek sembra costituire uno dei modelli più attendibili nelle ricerche orientate alle valutazioni delle condizioni psicosociali del lavoro e delle relazioni tra stress e coronaropatie, fatica cronica (vital exhaustion), depressione, abuso di farmaci, assenze lavorative, infortuni lavorativi, disturbi muscolo-scheletrici, mortalità, problemi della sfera riproduttiva (22,25).

 

I limiti principali di questo modello sono:

  • appare difficile concettualizzare e rendere misurabile il concetto di "job control", che sembra riferirsi a diversi ma non ben definiti aspetti che hanno a che fare con l'autonomia;
  • non è sempre chiaro cosa Karasek intenda con i termini "interactions" e "joint effects" di richieste lavorative e ampiezza di decisione: la discussione va avanti ma non è stata ancora determinata l'esatta formulazione matematica dell'interazione;
  • il modello sembra troppo semplice perché il controllo non è l'unica risorsa disponibile per fronteggiare le richieste dell'ambiente; per esempio anche il supporto sociale collegato al lavoro può funzionare da moderatore delle richieste lavorative ambientali. In particolare la presenza di "altri" amichevoli sul lavoro sarebbe elemento positivo per il benessere psicologico dei lavoratori: vi è testimonianza in letteratura del fatto che il supporto sociale protegge dallo sviluppo di disturbi psicologici agendo contro stressors e avversità, promuove il benessere ed è terapeutico per chi ha già sviluppato sintomi di qualche genere.

Il modello di Karasek non è stato confermato dai risultati sperimentali anche se vi sono evidenze che alti livelli di autonomia sembrano attenuare l'esaurimento emotivo. Sul piano degli studi osservazionali, il modello di K. sembra dare i migliori risultati quando è usato in studi descrittivi per attribuire livelli di rischio su base di gruppo (mansioni, titoli di lavoro, categorie di lavoratori), piuttosto che quando viene usato in studi analitici che raccolgono informazioni attraverso questionari individuali volti ad indagare gli assi del modello nel singolo lavoratore.

 

Il modello e il questionario di Karasek sono stati applicati soprattutto nello studio delle patologie cardiovascolari, in particolare tra il 1981 e il 1993, sono stati pubblicati i risultati di ben 36 studi per lo più scandinavi e nord-americani, la maggior parte dei quali ha evidenziato una correlazione positiva tra job strain e malattie cardiovascolari (CVD) o le altre cause di mortalità, e tra job strain ed alcuni fattori di rischio cardiovascolare, in particolare l’ipertensione arteriosa. Per quest'ultima livelli di associazione maggiori sono stati trovati quando sono state adottate metodiche di controllo della variabilità (7,27). Una revisione sistematica delle evidenze è stata compiuta da Schnall, Landsbergis e Baker nel 1994 (28). Negli studi condotti su coorti maschili, le stime del rischio relativo connesse a differenti connotazioni di job strain variavano da 1.6, quando viene considerato come end-point la mortalità per tutte le cause, a 1.9 per la mortalità specifica CVD. Rischi relativi maggiori sono stati riportati per l'occorrenza di recidive in pazienti infartuati.

 

Per quanto concerne la consistenza dei risultati tra disegni differenti di studio, è stato rilevato che associazioni positive sono state ottenute sia da studi trasversali, sia da studi caso-controlli che da studi coorte. Degli otto studi coorte (dei quali sei hanno considerato come endpoint le CVD e due la mortalità per tutte le cause) sette hanno evidenziato associazioni statisticamente significative, diciassette dei trentasei studi sono stati realizzati su base di popolazione, garantendo in tal modo un’ampia generalizzabilità. Risultati consistenti sono stati anche riscontrati quando differenti tipi di CVD sono state considerate come outcome: CHD, mortalità o morbilità complessiva per CVD, infarto miocardico acuto (IMA), ricorrenza di IMA, e mortalità per tutte le cause. Inoltre associazioni positive sono state riscontrate in differenti gruppi occupazionali ed in entrambe i sessi. In circa undici studi ove è stato adottato il metodo indiretto di rilevazione del job strain, sette hanno riportato associazioni significative e due risultati non chiari. Purtroppo la maggior parte degli studi finora condotti si riferiscono a selezionati gruppi etnici del Nord Europa o degli Stati Uniti, ed i lusinghieri risultati ottenuti ne consigliano la replicazione in altri contesti socio-culturali.

 

Nella tabella 1 sono indicate altre aree tematiche di possibile uso.

 

Tabella 1 - Aree tematiche oggetto di ricerca in cui è stato utilizzato il JCQ in questi ultimi 10 anni. Sintesi relativa a 94 ricerche (da: www.wporkhealth.org)

 

Heart Disease

22

24

Musculoskeletal

17

18

Accidents/Work Place

6

6

General Psych. Disorder

17

18

Behavior

29

31

Psychological Assessment

20

22

Reproductive Complication

2

2

Immune System

2

2

Respiratory

2

2

Cancer

0

0

Productivity/Performance

3

3

Technol./Computer

1

1

Misc./Other

7

8

 

1.3 Algoritmi di calcolo dei punteggi globali delle scale

 

Diamo qui un breve riassunto delle successive versioni del questionario.

  • Quality of Employment Survey (QES) questionnaire: si tratta di un questionario usato dal Ministero del Lavoro degli Stati Uniti, tramite l’Università del Michigan, in tre diverse occasioni, nel 1969, 1972 e 1977 come strumento di conoscenza della realtà lavorativa di quegli anni. Consisteva di 9 item dedicati alla Decision Latitude, 5 items allo Psycological Work Load, 1 item al Physical Work Load, 3 item al Job insecurity, 4 item alla Supervisory Social Support, 5 (?) item alla Coworker Social Support. Complessivamente, quindi, il QES constava di 27 (?) item. Da quei dati e da quel questionario partirono alla fine degli anni settanta Karasek e coll. per costruire il Job Content Questionnaire (JCQ), creando, mediante l’uso dei risultati delle tre survey già condotte, un data-base di 4500 questionari da utilizzare come gruppo di riferimento nella valutazione dei risultati di altri gruppi di lavoratori.
  • Framingham Questionnaire: nel 198. Karasek fu richiesto di fornire un questionario che indagasse gli stressors per l’apparato cardiovascolare nell’ambito di una coorte di 4000 soggetti seguita fin dalla nascita nella contea di Framingham, Mass. Karasek elaborò quindi una versione a 27 item del JCQ, derivandolo dal QES, con alcune aggiunte e alcune sottrazioni, dovute alle specifiche circostanze d’uso. La versione del JCQ usata nel Framingham Study è composta da 9 item per la DL, 9 item per la Psy WL, 5 item per la Phy WL, 4 item per la Job insecurity, mentre non appaiono le due scale sul Social Support, quella del Supervisor e quella dei Coworkers.
  • JCQ standard 49 items: nel 1985 Karasek definisce la versione base del JCQ che si mantiene tuttora valida. In tale versione, che rappresenta un “mix” delle versioni del QES e del Framingham Study, si hanno 9 item per la scala DL + 1 item (skill level) per una scala detta di “skill underutilization”, 8 item per la Macro Level Decision Authority , 9 item per la Psy WL, 5 per la Phy WL, 6 item per la Job insecurity, 6 item per la Superv.SS, 6 item, infine, per la Coworker SS.

In appendice sono forniti in dettaglio i criteri per l’assegnazione dei punteggi delle singole sottoscale.