Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato e benessere organizzativo

DALLO STRESS ALLA MALATTIA

Fonte: Paolo Pancheri "Stress Emozioni Malattia - introduzione alla medicina psicosomatica" - Mondadori - Milano 1980

Sia nella letteratura scientifica che nel linguaggio corrente, il termine stress è stato ed è usato in modi diversi, spesso in contrasto e in conflitto tra loro. Assai frequentemente il termine stress è usato come sinonimo di stimolo nocivo. In questo caso, esso è riferito a un ampio spettro di stimoli, esterni o interni, che agiscono sull'individuo a livello psicosociale, intra-psichico, biofisiologico e fisico con particolare intensità o per periodi di tempo particolarmente prolungati. Si parla in questi casi di “stress sociale”, di “stress conflittuale”, di “stress da malattia”, di “stress fisico” e così via. Il termine, usato in questa accezione, non tiene conto della reazione dell'organismo allo stimolo, anche se talvolta essa è considerata implicitamente. Spesso, il termine stress è associato a una particolare condizione di stimolo-risposta caratterizzata dalla presenza di una stimolazione particolarmente intensa o prolungata, e da una serie di reazioni sia psicologiche che fisiologiche, espressione della resistenza e della difesa dell'organismo contro le forze che vogliono mutare le condizioni di omeostasi precedenti. Anche questo uso del termine associa una potenzialità patogena allo stress, ponendo l'accento non solo sullo stimolo, ma anche sulle modalità di risposta dell'organismo. Lo stress, infine, è stato considerato come una risposta fisiologica e psicologica complessa a una serie eterogenea di stimoli fisici, biologici o psicosociali, interni o esterni all'organismo. In questa prospettiva, che ha dimostrato di essere la più utile in psicosomatica sia a livello teorico che clinico, l'interesse è completamente spostato sulle modalità reattive dell'organismo, viste nel loro duplice aspetto difensivo e patogeno.

L'estrema diffusione del termine stress, sia nella letteratura medico-biologica che nella letteratura psicologico-psichiatrica, testimonia comunque, al là delle controversie nel significato del termine, dell’importanza di un concetto che esprima la reazione e la resistenza dell’organismo nei confronti di agenti che esercitino una pressione o una richiesta su di esso.

Hans Selye ha avuto il merito, per primo, di dare una definizione univoca del concetto in modo organico in una teoria generale della malattia che ha profondamente influenzato la biologia e la medicina degli ultimi venti anni. Benché le concezioni originarie di Selye siano state, negli ultimi anni, sottoposte a numerose analisi critiche da vari autori e dallo stesso Selye esse fondamentalmente non si sono modificate, e possono ancora oggi essere usate come un utile modello interpretativo per lo sviluppo di malattie somatiche in conseguenza di agenti sia fisici che psicosociali.


Il concetto di stress prima di Selye

Il termine stress è in uso nella lingua inglese da molto tempo prima della sua introduzione nel linguaggio scientifico. Nel XVII secolo il significato corrente era quello di 'difficoltà, avversità o afflizione'; successivamente (XVIII e XIX secolo), è divenuto quello di “forza, pressione, tensione, o sforzo” applicati sia a un oggetto che a un organismo, e infine, in tempi recenti ha acquisito il significato definitivo di stato di tensione o di resistenza 'di un oggetto o di una persona che si oppone a forze esterne che agiscono su di essi.

Al di là delle applicazioni in fisica e ingegneria, il primo uso scientifico del termine in biologia e medicina è dovuto a W. Cannon. Cannon introdusse il concetto di reazione di allarme in biologia, ne analizzò per primo alcuni aspetti psico-neuro-endocrinologici importanti. (attivazione della midollare del surrene) e, dopo aver utilizzato in alcuni lavori il termine stress in modo analogo a quello del linguaggio corrente giunse infine a usare il termine essenzialmente con il significato di stimolo. Introducendo il concetto di livello critico di stress, inteso come massimo livello di stimolazione sopportabile dai meccanismi di compenso fìsiologici. L'importanza di Cannon è puramente storica, ma deve essere tenuta presente per comprendere sia l'iniziale opposizione incontrata dalle idee di Selye sullo stress, sia per poter discutere criticamente alcune modifiche alla teoria di quest'ultimo proposte in seguito.


Il concetto di stress secondo Selye

L'importanza di Selye in medicina e in biologia non è stata tanto quella di aver definito lo stress come una risposta dell'organismo a vari stimoli esogeni ed endogeni e di aver descritto in modo sistematico tale risposta, quanto quella di aver inserito lo stress in una teoria generale dello sviluppo della malattia che ha fatto progredire notevolmente la ricerca biomedica degli ultimi trent'anni. Secondo Selye, lo stress è la risposta non specifica dell'organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso", Come tale, esso può essere prodotto da una gamma estremamente ampia ai stimoli denominati stressors (agenti stressanti) che producono essenzialmente la medesima risposta biologica, quali l'esposizione al caldo, al freddo o a gradi estremi di umidità, gli sforzi muscolari o l'attività sessuale, lo shock anafilattico o le stimolazioni emozionali (FIG. 1). Questa definizione dello stress e la formulazione della sindrome generale di adattamento che è alla base del modello interpretativo generale della malattia somatica sono state in realtà raggiunte da Selye attraverso un lavoro teorico e di ricerca che ha coperto un intero arco di circa venti anni.

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Fig.1: Lo stress secondo Selye. «Lo stress è la risposta del corpo ad ogni richiesta operata su di esso».

L'inizio della concettualizzazione dello stress nella sua forma moderna risale al 1936, quando Selye, che stava ricercando un nuovo ormone sessuale, si accorse che gli animali da esperimento reagivano alla inoculazione di estratti non purificati di tessuti con una ipertrofia delle surrenali, una atrofia del timo e delle ghiandole linfatiche e con lo sviluppo di ulcere nella mucosa gastrica. Egli interpretò questo quadro come conseguenza di una reazione difensiva dell'organismo, dimostrò che essa si produceva per l’azione di una gamma assai vasta di agenti nocivi per l'organismo, e chiamò questa reazione sindrome generale di adattamento (General Adaptation Syndrome).

La sindrome generale di adattamento si sviluppa attraverso tre fasi successive: la fase di allarme, in cui si manifestano essenzialmente modificazioni di carattere biochimico-ormonale; la fase di resistenza, nella quale l'organismo si organizza anatomo funzionalmente in senso stabilmente difensivo; la fase di esaurimento, nella quale si verifica il crollo delle difese, e l'incapacità ad adattarsi ulteriormente agli stressor.

In ricerche successive effettuate da Selye stesso e da altri autori divenne evidente che la risposta umorale stereotipata prodotta da vari stimoli era in realtà una attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene che si manifestava attraverso un aumento degli ormoni corticosurrenali circolanti. L'associazione del concetto di stress alla reazione endocrina stereotipata che caratterizza la reazione generale di adattamento avvenne tuttavia solo negli anni Cinquanta, dopo che in momenti successivi Selye aveva usato il concetto di stress a volte come stimolo e a volte come interazione tra stimolo e risposta. Nella sua elaborazione finale, lo stress viene visto da Selye come una reazione adattativa e fisiologica aspecifica a qualunque richiesta di modificazione esercitata sull'organismo da una gamma assai ampia di stimoli eterogenei, ed espressa essenzialmente da variazioni di tipo endocrino (attivazione della corteccia e della midollare del surrene). In base a questa definizione, lo stress non è una condizione patologica dell’organismo, anche se può produrre patologia in opportune circostanze esso infatti è prodotto da situazioni di stimolo assolutamente fisiologiche (come un'attività sportiva o un rapporto sessuale) oltre che da stressor potenzialmente dannosi per l'organismo (esposizione a freddo o caldo intensi, introduzione di allergeni).  La reazione di stress è una reazione fisiologicamente utile in quanto adattativa essa può tuttavia divenire una condizione patogena se lo stressor agisce con particolare intensità e per periodi di tempo sufficientemente lunghi.

Lo stress dunque è qualcosa che non deve e non può essere evitato, in quanto è l'essenza della vita stessa. Questa concezione rappresenta in effetti l'ultima evoluzione del pensiero di Selye sullo stress: «La completa libertà dallo stress è la morte. Contrariamente a quanto si pensa di solito, noi non dobbiamo, e in realtà non possiamo, evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace, e trame vantaggio imparando di più sui suoi meccanismi ed adattando la nostra filosofia dell'esistenza ad esso».


Il concetto di stress dopo Selye: J. Mason

I punti fondamentali della concezione di Selye sono, come si è visto l'aspecificità della reazione di stress di fronte a stimoli di varia natura il suo carattere fondamentalmente adattativo, e il suo carattere di reazione endocrina sul piano più strettamente fisiologico. Questa teoria dello stress si è dimostrata assai utile per costruire un modello interpretativo generale della genesi delle malattie somatiche che tenga conto prevalentemente delle cause aspecifiche della malattia. In questa prospettiva, la patogenesi di molte malattie somatiche è vista come pluri causale, vale a dire la malattia è prodotta da una predisposizione del terreno biologico di carattere aspecifico indotta da cause eterogenee, e da fattori più specifici propri della malattia in. questione. Lo stress si comporterebbe, in condizioni particolari, come un induttore aspecifico della malattia che agirebbe in associazione con I fattori specifici. Diventa dunque importante, da un punto di vista patogenetico, tentare di spiegare i meccanismi attraverso i quali gli stressor più vari possono indurre una reazione comune di potenziale significato patologico. Selye, consapevole di questo problema, aveva postulato l'esistenza di  un mediatore, biochimico o nervoso, che fungesse da tramite tra gli stimoli e le strutture endocrine deputate alla produzione della reazione di stress ed aveva chiamato questo ipotetico mediatore first mediator, assegnando alla ricerca futura il compito di identificarlo più precisamente. Tuttavia la ricerca successiva non è riuscita fino ad oggi a isolare il first mediator ipotizzato da Selye, benché la sua identificazione rivesta una notevole importanza per spiegare come stimoli assai diversi come stressor fisici o agenti di tipo psicosociale possano indurre la reazione di stress e quindi, potenzialmente, la malattia. Mason, pur accettando fondamentalmente la concezione dello stress di Selye, ha affrontato il problema del first mediator in modo diverso, formulando l'ipotesi che la reazione di stress sia in realtà mediata costantemente da un eccitamento di tipo emozionale (FIG. 2). Il punto di partenza per questa ipotesi è stata la documentata reattività del sistema ipotalamo-ipofisi-corticosurrene a un gran numero di stimoli psicosociali, suscettibili di indurre una reazione emozionale'". L'osservazione che la reazione corticosurrenale a stimoli emotivi è sostanzialmente identica a quella descritta da Selye nella reazione di stress ha indotto Mason a effettuare una serie di esperimenti basati sulla dissociazione dello stimolo fisico dallo stimolo emotivo nello stress, che hanno dato un sostegno empirico alla teoria da lui formulata. In questa prospettiva, sia l'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene che l'attivazione della midollare del surrene che seguono all'esposizione a stimoli fisici di varia natura sarebbero una diretta conseguenza dell'eccitamento emozionale che accompagna o precede immediatamente la stimolazione fisica.

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Fig.2: Lo stress secondo Mason. Sia gli stimoli psicosociali che gli stimoli fisicobiologici producono la reazione di stress essenzialmente attraverso la mediazione dell'eccitamento emozionale da essi prodotto.

Il first mediator postulato da Selye, e mai dimostrato, sarebbe secondo Mason rappresentato dalle strutture anatomo funzionali responsabili dell'attivazione emozionale a livello fisiologico e dall'apparato psicologico coinvolto nella risposta emozionale a una complessa serie di stressor.Queste considerazioni hanno permesso a Mason di rivedere la concezione originale della non specificità della reazione di stress secondo Selye, sulla base di dati raccolti dalla sperimentazione psicoendocrinologica nell'uomo che hanno mostrato come la reazione endocrina a stressor di varia natura sia solo parzialmente aspecifica. Sia l'uomo che i primati rispondono infatti a stressor di natura psicosociale con uno schema complesso di reazione multi ormonale la cui configurazione generale è altamente personalizzata e specifìca. La prospettiva di Mason sul problema dello stress ci permette di comprendere meglio i dati sperimentali che depongono in favore sia della specificità che della aspecificità dello stress. Se infatti consideriamo la reazione emozionale come la causa principale (anche se non l'unica) che produce lo stress, ne consegue che potranno esistere stressor di tale intensità e durata che sempre e comunque producono la reazione di stress, mentre esisteranno altri stimoli che produrranno tale reazione solo in rapporto alla particolare reattività psicofisiologica del singolo soggetto.


II concetto di stress psicologico

L'importanza delle emozioni nella reazione di stress ha condotto alcuni autori a proporre il concetto di stress psicologico. Secondo Lazarus, che ha discusso in vari lavori il problema dello stress psicologico, in questo ultimo la reazione dipende dalla valutazione cognitiva del significato dello stimolo, mentre nello stress fisiologico la reazione è determinata da un'azione diretta dello stimolo sui tessuti. Se dunque uno stimolo non è valutato come rilevante per l'individuo, a livello conscio o inconscio, non si verifica attivazione emozionale e dunque una eventuale reazione non può essere considerata come stress psicologico. Il contributo degli autori di impostazione psicologica al problema dello stress è stato fondamentalmente quello di avere sottolineato l'importanza della valutazione del significato dello stimolo nella produzione della reazione di stress, mediata dall'attivazione emozionale. Inoltre, essi hanno giustamente posto l'accento non solo sugli aspetti fisiologici dello stress, come era stato fatto da Selye e dagli altri autori di impostazione fisiologica, ma anche sugli altri aspetti comportamentali associati (FIG. 3).

 

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Fig.3: Stress psicologico. Gli stimoli che raggiungono l'organismo vengono valutati cognitivamente dal punto di vista del loro significato prima di produrre una reazione emozionale. La reazione di stress, sia nei suoi aspetti fisiologici che comportamentali, è resa dunque parzialmente specifica.


Lo stress: una definizione operativa

Come si vede, il concetto di stress ha subito un'evoluzione negli ultimi anni, sulla base comunque della formulazione originaria di Selye. Noi riteniamo che sia nel concetto originario che nelle successive modificazioni vi siano elementi di estrema importanza per comprendere la natura delle interazioni tra l'individuo e il suo ambiente, e i rapporti tra tali interazioni e lo sviluppo di malattie somatiche.

Definiamo pertanto lo stress come la risposta dell'organismo ad ogni richiesta di modificazione effettuata su di esso.

Questa risposta si manifesta sia a livello fisiologico che a livello comportamentale, ed è mediata da un'attivazione emozionale indotta da un valutazione cognitiva del significato dello stimolo. Essa è relativamente aspecifica, nel senso che un'ampia gamma di stimoli può innescarla, ma è personalizzata in rapporto al significato dello stimolo per il singolo individuo, e alle sue modalità di reazione psicofisiologica. Lo stress è, di per sé stesso, una reazione fisiologica, adattati va, caratteristica della vita, che può tuttavia assumere un significato patogenetico quando è prodotta in modo troppo intenso per lunghi periodi di tempo o quando è ostacolata nel suo regolare svolgimento.


Emozioni e Stress

Una delle maggiori difficoltà che si incontrano ogni volta che si tenta una definizione operativa dell'emozione è rappresentata dalla difficoltà a uscire dal soggettivismo degli stati di coscienza. Ogni individuo 'sa' cosa significa provare un'emozione, e può anche giungere a descriverla verbalmente, ma di fronte alla necessità di distinguere uno stato emozionale da uno stato di tipo cognitivo, si trova a dover far ricorso a termini autoesplicativi come 'sento' oppure 'penso', di scarsa utilità operativa.

Da qui Il tentativo della psicologia introspettiva del secolo scorso di classificare e categorizzare diversi tipi di 'sentimenti', 'emozioni', 'passioni’ e così via. Il rischio, intrinseco a questa posizione, di una progressiva chiusura in un soggettivismo più suscettibile di comunicazione letteraria e di analisi filosofica che di portare ad un progresso scientifico, ha portato progressivamente negli ultimi cinquant'anni a una posizione opposta. Si è giunti, cioè, a negare ogni significato ai vissuti soggettivi e a parlare esclusivamente di 'comportamenti emozionali', obiettivamente osservabili, descrivibili operativamente e, entro certi limiti, riproducibili in laboratorio. Questa posizione comportamentista, di diretta derivazione dalla psicologia sperimentale e animale, considera la descrizione verbale dei contenuti di coscienza emozionali come un caso particolare di comportamento verbale, analizzabile dal punto di vista delle modalità comunicative ma non da quello dei vissuti soggettivi. Una prospettiva comportamentista portata alle sue estreme conseguenze tuttavia, si trova a dover affrontare la difficoltà pratica e concettuale di distinguere operativamente tra comportamenti emozionali e comportamenti non emozionali, senza far ricorso ai vissuti soggettivi dell'individuo.Di fronte a questo problema, da parte di alcuni si tende a rinunciare completamente a qualsiasi definizione dell'emozione, e a limitarsi alla descrizione di varie tipologie di comportamenti (ad esempio comportamenti appetitivi, avversivi, di evitamento, di attacco e fuga, ecc.) nei loro rapporti con varie categorie di stimoli scatenanti. In questa prospettiva ci trova nella situazione di avere particolari stati di sensibilità interna soggettiva, che ogni individuo riconosce intuitivamente come emozioni, .ma .di non poter usare tale costrutto in un contesto di comunicazione scientifica. Una possibile via di uscita da questa 'impasse' metodologica è venuta dagli studi di psicofisiologia e di psicoendocrinologia del comportamento che sono andati sviluppandosi negli ultimi anni. Una massa rilevante di dati sperimentali ha infatti dimostrato, nell'animale, che taluni tipi di comportamenti sono costantemente accompagnati da particolari modificazioni fisiologiche a livello del sistema nervoso centrale (SNC), del sistema nervoso vegetativo (SNV) e del sistema endocrino (SE). Ci si trova dunque di fronte a un mutamento complesso delle condizioni omeostatiche di base dell'organismo che coinvolge sia le cosiddette funzioni volontarie, mediate del sistema cerebrospinale e muscoloscheletrico, che le cosiddette funzioni autonome mediate dal SNV e dal SE.

Un'analisi sistematica delle condizioni nelle quali si manifestano queste complesse e integrate modificazioni mostra che esse compaiono caratteristicamente in circostanze che coinvolgono o la sopravvivenza dell'individuo o la sopravvivenza della specie. A livello di sopravvivenza dell'individuo la reazione fisiologico-comportamentale integrata si manifesta di fronte a stimoli minacciosi o pericolosi per l'incolumità fisica o per la vita. A livello di sopravvivenza della specie, essa si manifesta in varie fasi del ciclo riproduttivo quali la ricerca di un partner sessuale, l'accoppiamento e la protezione della prole. In una prospettiva filogenetica, si può osservare come a reazione fisiologico-comportamentale integrata divenga sempre più modulata e complessa con il progredire della scala animale, parallelamente alla comparsa e allo sviluppo di strutture anatomofunzionali specializzate a tale scopo. Questo aumento di complessità appare correlato alle aumentate possibilità di sopravvivenza sia dell'individuo che della specie. La reazione fisiologico-comportamentale integrata è osservabile anche nell'uomo in situazioni che, come nell'animale, sono correlate a problemi di sopravvivenza e di adattamento. Nell'uomo, tuttavia, dato il rilevante sviluppo delle funzioni cognitive mediate dallo sviluppo corticale, essa può essere indotta anche da stimoli solo indirettamente o simbolicamente correlabili a una minaccia per l'individuo o alle funzioni riproduttive. L'aspetto tuttavia più interessante della reazione fisiologico-comportamentale integrata nell'uomo è dato dalla sua caratteristica associazione con quei particolari vissuti soggettivi conosciuti nel linguaggio corrente come emozioni. n questa prospettiva, i vissuti emozionali soggettivi vengono visti come correlati secondari o 'sottoprodotti intrapsichici' di un complesso processo di attivazione somatica finalizzato in via diretta o mediata alla sopravvivenza .

In base a queste considerazioni, si può giungere a una definizione operativa dell'emozione, in cui essa viene intesa come una modificazione delle condizioni omeostatiche di base, finalizzata alla conservazione dell'individuo o della specie per mezzo di specifici comportamenti e di modificazioni somatiche che ne costituiscono il supporto fisiologico e metabolico. Nell'uomo essa si accompagna a particolari vissuti, a tonalità fondamentale piacevole o spiacevole, che possono essere comunicati verbalmente.


Stress, Emozioni e Malattia

Spesso viene effettuata una distinzione tra malattie somatiche e malattie psicosomatiche. I supposti determinanti delle prime sarebbero agenti fisici o biologici, mentre nelle seconde entrerebbero in gioco prevalenti cause di tipo emozionale. In realtà, alla luce di quanto è emerso dallo studio dello stress dalla prima formulazione di Selye fino a oggi, appare chiaro come una tale suddivisione sia priva di significato, e come stress or di varia natura (fisica, biologica o psicosociale) possano, direttamente o attraverso una mediazione emozionale, influenzare il terreno biologico sul quale si inserisce la malattia. Va rilevato in effetti che la concezione, sviluppatasi principalmente nel XIX secolo, che a ogni malattia corrisponde una precisa causa in modo biunivoco ha lasciato il posto negli ultimi decenni a una concezione multicausale della malattia che permette di interpretare meglio i dati clinici e sperimentali. Alcune malattie possono ancora essere considerate come prodotte da una unica causa (ad esempio la paraplegia da sezione del midollo spinale), ma in molte altre, definite spesso come idiopatiche o essenziali, l'eziologia è certamente pluricausale, senza possibilità di individuare una causa predominante. Anche dove, tuttavia, un agente patogeno appare strettamente connesso a una particolare malattia, è possibile quasi sempre individuare una serie di concause dotate di potere patogeno a livello del terreno biologico. Ogni malattia dove sia individuabile un agente patogeno principale, infatti, può essere vista come la risultante di due fattori: l'aggressività dell'agente patogeno da un lato e le condizioni dei sistemi biologici di difesa (il terreno) dall'altro.

Lo sviluppo e il decorso della malattia somatica dipendono dal reciproco equilibrio di questi due fattori: un sistema di difese particolarmente efficiente può compensare una esposizione a un agente patogeno particolarmente aggressivo, mentre un agente usualmente innocuo (ad esempio un batterio saprofita) può scatenare una malattia in condizione di deficit delle difese biologiche. È stato ad esempio calcolato che in ogni soggetto normale avvengono usualmente delle mutazioni cellulari di tipo tumorale; in condizioni fisiologiche, tuttavia, le cellule tumorali vengono distrutte prima di raggiungere la massa critica da parte delle difese immunitarie dell'organismo (teoria della immunosorveglianza). In condizioni di depressione del sistema immunitario per ragioni di varia natura (tra cui condizioni di stress patologico), il ritmo delle mitosi cellulari supera le capacità di controllo delle difese immunitarie, e si può avere lo sviluppo del tumore.

Nel determinare la reattività del terreno, e quindi la suscettibilità alla malattia per ipo  o iper reattività del medesimo, agiscono sinergicamente tre sistemi biologici, la cui caratteristica comune è quella di esercitare un'azione generalizzata a livello di tutti gli organi e di tutti i tessuti: il sistema endocrino, il sistema nervoso vegetativo (o autonomo) e il sistema immunitario. 

La funzionalità e la reattività di questi tre sistemi sono, a loro volta, controllate da una serie di fattori reciprocamente interagenti tra loro: la struttura genetico-costituzionale, l'imprinting psicobiologico, l'ambiente fisico e, infine, i determinanti emozionali e psicosociali (FIG. 4).

 

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Fig.4: Le difese biologiche. Le condizioni delle difese biologiche (reattività del terreno) sono influenzate direttamente dal sistema endocrino, dal sistema immunitario e dal sistema nervoso vegetativo. Sistemi che, a loro volta, sono influenzati nel loro funzionamento/reattività dalle variabili indicate.

I determinanti emozionali e psicosociali, e la reazione di stress da essi dipendente, sono dunque sempre delle concause nella genesi delle malattie a eziologia totalmente o parzialmente multi causale. Essi, a seconda del momento in cui agiscono, della loro intensità e durata e della loro interazione con altri determinanti, possono agire come elementi predisponenti o come fattori scatenanti. Il punto importante da sottolineare è che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non è dimostrato un rapporto specifico tra tipo di attivazione emozionale e tipo di malattia somatica sviluppata anche quando il ruolo determinante dello stress emozionale è stato accertato.Le differenze nel tipo di malattie sviluppate per cause emozionali dipendono dalla particolare vulnerabilità dei singoli organi a sua volta dipendente da fattori puramente fisico-biologici o genetico-costituzionali.