Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato e benessere organizzativo

Salute organizzativa e stress da lavoro: modelli a confronto

All’interno della riflessione sui modelli di studio ed intervento riguardo allo stress correlato al lavoro, abbiamo trovato molto interessante l’analisi dei pro e dei contro di alcuni dei modelli ancora oggi citati, contenuta in “Salute organizzativa” di F. Avallone e A. Paplomatas - Raffaello Cortina Editore – Milano 2005. Qui di seguito riprendiamo brevemente, rielaborandoli, alcuni dei concetti espressi dagli autori.

Tradizionalmente la ricerca sullo stress si è incentrata prevalentemente su come la persona sia in grado o meno di gestire e affrontare situazioni stressanti piuttosto che su come certi ambienti di lavoro possono provocare o alleviare stati di disagio e di forte pressione. In realtà, sembra siano proprio i fattori legati al luogo di lavoro i principali responsabili di malattie, stress, esaurimento, danneggiando – con la conseguente diminuzione della produttività e dell’efficacia – sia il lavoratore sia l’organizzazione.

Nell’ambito di questa prospettiva è il classico lavoro di Karasek e Theorell (1990), che tenta di mettere in relazione due costrutti diversi: quello relativo allo stress con quello della riprogettazione del lavoro (job redesign). (…) Da questo filone di ricerca emerge che in un ambiente che gli autori definiscono di tensione (strain), in cui siano presenti un alto grado di richieste ma con un basso livello di controllo, problemi di salute e di stress sembrano essere più frequenti rispetto agli ambienti, denominati attivi (active), con alto livello di domande e un altrettanto alto livello di controllo. In un ambiente dove prevale la tensione, le persone tendono a essere più rigide, meno flessibili e più inclini alla malattia: in tali circostanze ne risentirebbe anche la produttività. Diversamente, in un ambiente attivo, dove le persone hanno più opportunità di sperimentare le loro capacità, di apprendere nuove abilità e di metterle in atto, tendono a prevalere un maggior sentimento di soddisfazione e uno stato migliore di salute. (…)

Uno dei limiti di questo modello sembra essere dovuto al tipo di soluzione proposta, che si mantiene a livello micro organizzativo (job rotation, enrichment, enlargment) senza prendere in considerazione interventi a livello macro organizzativo, come l’evoluzione delle culture organizzative e la definizione delle politiche strategiche. (…).

La definizione di stress da parte della Commissione Europea (1999) descrive, tra l’altro, un modello di intervento suddiviso in tre livelli principali:

  • livello individuale: gli  interventi si propongono il potenziamento delle risorse dell’individuo per un miglior fronteggia mento dello stress. Si elaborano proposte di aiuto ai dipendenti in ambiti quali le strategia di coping o la gestione di tecniche per la riduzione dei sintomi dello stress lavorativo. I principali contenuti degli interventi sono, ad esempio, le tecniche di rilassamento, il time management, la terapia cognitiva, il counselling.
  • interfaccia individuo-organizzazione: gli interventi mirano a migliorare l’adattamento persona-ambiente e le relazioni sul lavoro. I contenuti vanno dalla modifica del carico di lavoro e del livello di autonomia lavorativa, al grado di partecipazione ed alle relazioni tra colleghi.
  • livello organizzativo: si punta ad identificare i fattori organizzativi che causano stress ed a intervenire sula cambiamento della struttura e delle pratiche organizzative, dei fattori fisici ed ambientali. Ad esempio con interventi di job design, di ristrutturazione dell’organizzazione del lavoro e delle condizioni di lavoro, interventi sulle politiche di selezione e gestione del personale, sulla formazione e lo sviluppo organizzativo.

Questi tre livelli di intervento si pongono in parallelo con le possibili strategie di prevenzione, Da quelle più propriamente preventive a quelle di tipo più ripartivo.

ImmagineStrategieLivelli

 

A nostro avviso, il problema di fondo non è il dover scegliere tra un livello ed un altro, per esclusione. Il rischio, sottolineato anche dagli autori è che così facendo si parta dall’andare ad indagare su “chi sono le persone che percepiscono più stress”, finendo così per tornare ad un approccio centrato sulla soggettività.

Ogni sistema organizzato ha un suo equilibrio basato sulle relazioni. Siano esse gerarchiche o paritarie, di fatto, quel che più conta è che le relazioni non è possibile non averle. Qualunque comportamento è un messaggio di relazione. Ecco perché crediamo che sia questo il focus: il sistema di relazioni interno all’organizzazione che ne garantisce la funzionalità ed efficienza, al tempo stesso, del sistema stesso e dei suoi componenti.

Per questo diventa sempre più importante andare a “parlare” con le persone per cominciare a capire la cultura organizzativa di quel sistema. Il tipo di cultura influenzerà (e sarà influenzata da) i comportamenti del management, che a loro volta, trasferiranno con i loro comportamenti quella cultura ai diversi gradini dell’organizzazione che, naturalmente, condizioneranno le possibilità di azione di tutti coloro con i quali entreranno in relazione. Vi proponiamo un possibile schema esemplificativo di quanto appena detto.

ImmagineSchemaCultura

O si comincia a guardare al sistema organizzativo nel suo insieme di connessioni che si co-costruiscono oppure centreremo sempre l'attenzione sulla ricerca del "colpevole", sia esso un dipendente, uno stressor (fattore che genera stress) o una cattiva gestione delle risorse umane. Con il risultato che non otterremmo i risultati sperati.