Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato e benessere organizzativo

Autori: Luca Pietrantoni - Gabriele Prati - Andrea Morelli - NUOVE TENDENZE DELLA PSICOLOGIA Vol. 1, n. 3, dicembre 2003 - Edizioni Erickson – Trento

Il lavoro in Polizia è riconosciuto in letteratura come altamente stressante. Basti pensare che, fin dai primi anni Ottanta, Spielberger aveva ideato uno strumento volto proprio a misurare lo stress nelle forze di Polizia chiamato Police Stress Survey (Spielberger et al., 1980). In Europa, negli Stati Uniti e in Australia sono state effettuate numerose ricerche al fine di indagare i molteplici aspetti del benessere, della qualità della vita lavorativa e della salute mentale dei poliziotti (Anshel, Robertson e Caputi, 1997; Dick, 2000; Mayhew, 2001; McNeill, 1996).

Quando si vogliono comprendere gli effetti della vita lavorativa sul benessere psicologico e sull’adattamento psicologico di un agente di Polizia, così come per altri ambiti professionali, è opportuno prendere in considerazione la molteplicità delle dimensioni negli aspetti positivi e negativi.

L’immagine stereotipata del poliziotto come individuo che svolge un lavoro pericoloso e stressante deve essere rivista tenendo in considerazione quanto questo possa essere soddisfacente e appagante. Kop, Euwema e Schaufeli (1999) hanno indagato gli aspetti positivi e negativi del lavoro in Polizia nella percezione dei poliziotti stessi. Gli aspetti positivi più citati risultano il contatto con i cittadini e il fatto di lavorare fra le persone, la percezione di aiuto e utilità per la società, la cooperazione con i colleghi, la libertà/responsabilità.

In una ricerca precedente molto simile di Storch e Panzarella (1996), gli aspetti positivi più menzionati risultano in primis l’eccitamento e la sfida connessi all’essere poliziotto, seguiti dalle dichiarazioni relative all’aiuto alle persone e dalla sicurezza del posto di lavoro. Se però si combinano fattori come la sicurezza del lavoro con il salario, indennità, e disposizioni di pensionamento, questo pacchetto di fattori compensativi risulta essere il più attraente. Gli aspetti negativi menzionati risultano nell’ordine: orario di lavoro inadeguato, biasimo pubblico (condanna pubblica della Polizia, stereotipi negativi, sfiducia e disapprovazione dei cittadini nei loro confronti), paga inadeguata, rapporti difficili con gli amministratori, i politici o gli avvocati.

In generale, da queste ricerche si evince un quadro più complesso: le stesse caratteristiche possono essere percepite come soddisfacenti o insoddisfacenti a seconda dei casi e anche gli eventi drammatici tipici del lavoro del poliziotto, quando accadono, possono essere esperiti come eustress da quegli agenti che amano l’eccitamento connesso al loro lavoro.

GRUPPO PIÙ ESPOSTO?

È difficile trovare in letteratura una risposta certa al quesito se gli agenti di Polizia costituiscano o meno una categoria a rischio per la salute sia fisica che mentale. Una parte della letteratura sostiene che gli agenti di Polizia siano una categoria a rischio di stress lavorativo, le cui conseguenze sono ravvisabili negli alti tassi di divorzio, alcolismo, problemi di salute e suicidio (Mayhew, 2001; Storch e Panzarella, 1996). È indubbio che gli agenti di Polizia siano esposti a eventi traumatici o stressanti nello svolgimento del loro lavoro. Le esperienze traumatiche vissute sul lavoro possono causare danni psicologici e portare allo sviluppo di Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT). Sugimoto e Oltjenenbruns (2001) parlano di una reazione di shock psicologico agli stressor traumatici (direttamente legati alla morte) chiamata «angoscia traumatica» che può divenire patologica e irrisolta e scatenare quindi un DSPT cronico. Nel lavoro di Polizia, gli agenti possono essere esposti al cosiddetto stress traumatico secondario (STS), definito come la naturale risposta comportamentale ed emozionale che si verifica in seguito alla conoscenza di un evento traumatico accaduto a un altro significativo o lo stress dovuto all’aiuto o al tentativo di aiuto nei confronti di persone traumatizzate o sofferenti (Kop, Euwema e Schaufeli, 1999). Sugimoto e Oltjenenbruns (2001) puntualizzano che, se si è esposti direttamente a un evento (ad esempio un poliziotto assiste a una sparatoria in cui muore una persona), si dovrebbe parlare di DSPT, mentre se, ad esempio, un agente comunica la morte di una persona a un familiare ed empatizza con la perdita sarebbe più opportuno parlare di STS.

Stephens et al. (1997) sostengono che la prevalenza di poliziotti neozelandesi che riportano sintomi di DSPT è uguale alla media di un gruppo di cittadini esposto a un evento traumatico. Mann e Neece (1990), invece, riportano una stima generale dei poliziotti che esibiscono sintomi del DSPT che si aggira attorno al 12-35%. Harvey Lintz e Tidwell (1997) hanno rilevato che la percentuale di poliziotti che riportano sintomi di DSPT diciassette mesi dopo essere intervenuti in un grave disordine sociale si aggira intorno al 17%. In uno studio di Brown et al. (1999) il 40% del campione di poliziotti supera il valore soglia del General Health Questionnaire, indicando la possibilità che questa categoria di lavoratori soffra fortemente di distress rispetto alla media della popolazione. Leonard e Alison (1999) sostengono che i sintomi di stress in seguito all’esposizione a situazioni traumatiche possono continuare per lungo tempo e includono senso di colpa, ansia, depressione, disturbi del sonno, pensieri intrusivi, compromissione delle abilità di coping, rabbia. In particolare la rabbia, secondo gli autori, è associata all’ostilità, al coinvolgimento in azioni violente e a una maggiore propensione all’uso di armi.

Contrariamente a questi risultati, un altro filone di ricerche mostra un quadro diverso. Storch e Panzarella (1996) ed Evans et al. (1993) hanno trovato che il livello di ansia di tratto misurato negli agenti di Polizia è leggermente minore rispetto al livello medio della popolazione. I ricercatori riconoscono che questi eventi drammatici e altamente stressanti sono l’eccezione piuttosto che la regola. Richmond et al. (1998) trovano che il tasso di sintomi percepiti di stress risulta essere nella ricerca compreso fra il 12 e il 15% e non emergono grandi differenze con la popolazione generale.