Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato e benessere organizzativo

Tentiamo di fare una sintesi di alcuni punti di vista in materia di stress correlato al lavoro. Questi punti di vista sono diversi, più che sui contenuti, soprattutto in ragione dell’enfasi che pongono su alcuni aspetti metodologici relativi al processo di valutazione del rischio, e ai soggetti che detengono l’ownership degli aspetti principali di detto processo. Così la Confindustria pone l’accento sulla priorità da dare all’analisi degli elementi oggettivi che possono indicare la presenza del rischio, la CGIL raccomanda di non usare lo “stressometro” per misurare lo stress in quanto ciò che deve essere misurato non è la conseguenza (lo stress appunto) ma le cause della presenza del rischio.

L’ordine degli psicologi traccia il profilo dello “psicologo esperto di organizzazioni lavorative” come figura a cui è opportuno affidare la gestione del processo di valutazione, in questo modo centrando un aspetto importante, e cioè che la conseguenza dell’esposizione al rischio, cioè lo stress, è un elemento da indagare con gli strumenti della psicologia.
I tre punti di vista hanno in comune la concezione che lo stress è una conseguenza, e che ciò che si deve valutare è la presenza del rischio. Ciò è coerente con le linee guida nazionali emanate da organismi istituzionali, e prima ancora con le best practices internazionali. E vi è assoluta concor-danza di posizioni sul fatto che fonte primaria di rischio è l’organizzazione e i fattori organizzativi, e che grande importanza hanno le politiche e mo-dalità di gestione delle risorse umane. La circolare del Ministero del Lavoro del 18 novembre 2010 delinea modalità pratiche per la valutazione del rischio stress lavoro correlato, intendendo in tal modo fornire una guida ai datori di lavoro, che sostenevano di non poter agire per la mancanza di “norme tecniche” e di prassi operative a cui fare riferimento. La stessa circolare, nel delineare le linee generali del processo di gestione del rischio stress lavoro correlato, fa notare che esse traggono spunto “dall’ampia produzione scientifica disponibile sul tema”, e aggiungiamo noi, anche dalle numerose esperienze ricavabili dalle pratiche consolidate di valutazione dello stress lavoro correlato nei paesi nordeuropei e negli Stati Uniti. Vi è, inoltre, abbondante materiale in letteratura sulle modalità di gestione dello stress lavoro correlato. Citiamo, ad esempio, “People in organizations, Chapter 7 Job stress, Terence Mitchell and James Larson, McGraw-Hill international editions, 1987.”
Fatte queste premesse dobbiamo prendere atto che le resistenze che si sono riscontrate e che tutt’ora si riscontrano nell’attuare la norma traggono origine dalla mancanza di conoscenza, o nella peggiore delle ipotesi da tentativi dilatori.
Le indicazioni della circolare ministeriale sono “redatte secondo criteri si semplicità, brevità e comprensibilità” e indicano un percorso chiaro e trasparente, che toglie al processo di valutazione dello stress da lavoro l’aura di materia riservata ai guru del mestiere. Del resto lo si poteva com-prendere fin dal recepimento dell’accordo Europeo sullo stress lavoro correlato, risalente al 2004 (!), che si tratta di una materia in cui le parti sociali hanno un peso determinante. Ciò è evidente in particolare nella fase che tutte le linee guida individuano come cruciale per la gestione dello stress da lavoro, cioè gli interventi sull’organizzazione. L’organizzazione viene individuata, in tutti gli approcci, come la primaria potenziale fonte di stress. Gli interventi organizzativi devono essere accompagnati da interventi di tipo formativo, che hanno lo scopo di incrementare la capacità di coping dei lavoratori. Gli interventi sull’individuo sono previsti dalla normativa solo a livello residuale, aspetto questo che è presente anche in tutta la normativa, prassi, letteratura internazionale.
Tuttavia, la circolare ministeriale indica alcune modalità pratiche di ef-fettuazione della valutazione che non sono prive di difficoltà. Ci riferiamo alla possibilità che la valutazione, sia preliminare sia approfondita, nelle imprese di maggiori dimensioni possa essere fatta indagando campioni rappresentativi di lavoratori. La rappresentatività di un campione, in senso statistico, si ottiene con procedimenti rigorosi e complessi, che non sempre sono alla portata delle imprese. Ma, ancora più importante, data la complessità del processo di campionatura, è molto probabile che questo processo risulti incomprensibile alle parti in causa, cioè ai lavoratori e alle loro rappresentanze. Risulta di conseguenza, forse, più semplice “sentire” tutti i lavoratori con modalità che garantiscano la privacy, attraverso la somministrazione di un questionario standardizzato.
Inoltre, il documento di valutazione deve contenere l’indicazione di un percorso metodologico e un piano di azione. Il percorso metodologico comporta di definire una strategia di gestione dei rischi psicosociali e, in particolare, del rischio stress lavoro correlato.
Le linee guida dell’ISPESL (ora INAIL) delineano, passo dopo passo, i punti salienti di detta strategia. L’aspetto importante è che questa strate-gia deve essere integrata, subito o nel tempo, con la complessiva strategia d’impresa. ISPESL mette a disposizione anche i punti salienti di un possibile piano di azione, che comporta necessariamente un momento di follow up e di ritaratura. Mette anche a disposizione una serie di indicatori per il monitoraggio della situazione nel tempo, indicatori, anche questi, presenti abbondantemente il letteratura.
Si veda, ad esempio, “Preventing absenteeism at the workplace, re-search summary, European foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 1999”. Questo studio mette in evidenza come, a seconda della motivazione individuale e della pressione sul lavoro, si possono creare problemi di salute che possono sfociare nell'assenteismo. Il livello oltre il quale i problemi di salute danno luogo ad assenteismo viene definito 'barriera dell’assenteismo'. Il ritorno al lavoro dipende dal decorso della malattia, e il livello oltre il quale si verifica il ritorno al lavoro può essere definito “barriera del reinserimento”. Per barriera del reinserimento si intende la totalità dei fattori che influenzano il decorso della malattia e il ritorno al lavoro. L’intero processo è influenzato da fattori individuali, fattori aziendali, e da fattori sociali. Ad esempio, a livello individuale, fattori biologici e psicologici come la costituzione fisica e la resilienza influenzano la barriera del reinserimento.
Dopo la prima applicazione della norma, allo scopo di ottemperare all’obbligo di Legge, si assisterà nel tempo (che ci auguriamo breve, ma temiamo non sia così) al consolidarsi di pratiche sempre più sofisticate, che riguarderanno aspetti che attengono al benessere lavorativo. Il tema del “benessere organizzativo” o “salute organizzativa” è ormai da tempo argomento di attenzione, anche normativa. Per benessere organizzativo si intende comunemente la capacità dell’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori per tutti i livelli e i ruoli. Studi e ricerche sulle organizzazioni hanno dimostrato che le strutture più efficienti sono quelle con dipendenti soddisfatti e un “clima interno” sereno e partecipativo. La motivazione, la collaborazione, il coinvolgimento, la corretta circolazione delle informazioni, la flessibilità e la fiducia delle persone sono tutti elementi che portano a migliorare la salute mentale e fisica dei lavoratori, la soddisfazione dei clienti e degli utenti e, in via finale, ad aumentare la produttività.